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Tumore dell’ovaio: la terapia che può estendere la sopravvivenza

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Tumore dell'ovaio: la terapia che può estendere la sopravvivenza
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Un nuovo studio confermano i benefici riscontrabili con l’assunzione del farmaco olaparib.

I nuovi dati di sopravvivenza per lo studio SOLO-2 presentati all’ASCO, confermano che l’olaparib, un farmaco della categoria dei PARP-inibitori, può fare veramente la differenza, anche in termini di sopravvivenza, nelle pazienti con tumore dell’ovaio. Il farmaco, somministrato come terapia di mantenimento dopo chemioterapia a base di platino, nelle donne con tumore dell’ovaio BRCA-mutato e recidivato, ha esteso la loro sopravvivenza di oltre un anno.

Un risultato notevole per un tumore ritenuto tra i più difficili da trattare. Lo studio SOLO-2 ha arruolato 300 donne affette da tumore dell’ovaio con mutazione BRCA che, alla recidiva, erano state sottoposte a chemioterapia. Metà di loro hanno proseguito il trattamento con olaparib (terapia di mantenimento), mentre all’altra metà è stato somministrato un placebo (gruppo di controllo). Una precedente analisi dei risultati dello studio aveva già mostrato un beneficio molto significativo sulla sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS) risultata di 19,1 mesi per le pazienti trattate con il PARP-inibitore in mantenimento, contro 5,5 mesi del gruppo di controllo.

I nuovi dati presentati all’ASCO evidenziano un beneficio notevole anche sulla sopravvivenza: il trattamento con olaparib prolunga la sopravvivenza di 12,9 mesi rispetto al placebo, arrivando a 51,7 mesi per il gruppo olaparib, contro 38,8 mesi del gruppo placebo. Al follow-up a 5 anni, era ancora in vita il 42,1% delle donne trattate con olaparib, contro il 33,2% del gruppo di controllo. Gli esperti descrivono come “impressionanti” questi risultati, che offrono un beneficio sostanziale alle pazienti con tumore dell’ovaio recidivato e mutazione BRCA. Un notevole passo avanti nel campo della medicina personalizzata.

“Per la prima volta nell’arco degli ultimi 50 anni – commenta la dottoressa Ketta Lorusso, dirigente medico di I livello presso l’UOC di Ginecologia oncologica e responsabile dell’Unità operativa di Ricerca clinica della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – due studi presentati all’ASCO ci indicano che alcune strategie terapeutiche sono in grado di aumentare la sopravvivenza globale (OS) delle nostre pazienti e non solo la sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS)”.

Le due strategie sono una chirurgica e l’altra farmacologica. Lo studio internazionale DESKTOP-III ha dimostrato che la chirurgia della recidiva di tumore ovarico si traduce in un aumento della sopravvivenza: le pazienti operate vivono almeno 8 mesi più rispetto a quelle non operate e che ricevono la sola chemioterapia. Fondamentale naturalmente è che la recidiva del tumore sia asportata completamente.

“Questo – prosegue la dottoressa Lorusso – sottolinea l’importanza di effettuare questi complessi interventi presso un ottimo centro di riferimento, dove la donna possa trovare tutte le competenze e le expertise per gestire la chirurgia della recidiva, che spesso è ancora più complessa della chirurgia della prima linea. Un’altra indicazione che viene da questo studio è quella di potenziare il follow-up di queste pazienti, perché bisogna essere in grado di individuare la recidiva in fase iniziale, quando è ancora potenzialmente operabile. In questo studio le pazienti con recidiva di tumore dell’ovaio venivano avviate alla chirurgia se presentavano il cosiddetto punteggio ‘Desktop’ positivo (buone condizioni generali per poter proporre una chirurgia secondaria, un ottimo intervento chirurgico effettuato alla prima diagnosi di malattia, l’assenza di ascite). I risultati ottenuti in questo studio suggeriscono dunque di far sempre valutare al chirurgo la paziente con recidiva di tumore ovarico, prima di iniziare la chemioterapia”.

La strategia farmacologica riguarda invece i PARP-inibitori, una classe di farmaci che sta cambiando la storia della malattia nel tumore ovarico, dalla prima alla seconda linea. Delle performance di olaparib nello studio SOLO-2 finora si conoscevano solo i risultati – anch’essi molto importanti – sull’allungamento della sopravvivenza libera da progressione di malattia: il farmaco, somministrato in prima linea nelle pazienti con tumore dell’ovaio e mutazione BRCA, ritarda la recidiva mediamente di 3 anni.

Dall’ASCO arrivano adesso dati di sopravvivenza dello studio SOLO-2, effettuato su donne con recidiva tardiva di tumore dell’ovaio BRCA-mutato, quella che insorge a più di 6 mesi dalla fine della chemioterapia a base di platino. “Queste pazienti – spiega la dottoressa Lorusso – venivano sottoposte a un nuovo trattamento a base di platino e, se rispondevano a questo trattamento, venivano messe in mantenimento con olaparib o con placebo. Questo PARP inibitore ha aumentato la sopravvivenza da 38,3 mesi a 51,7 mesi, riducendo del 26% il rischio di mortalità in queste donne. Si tratta di un risultato straordinario, che non raggiunge per poco la significatività statistica (la p è 0,053). Ma il valore clinico di questi risultati supera di gran lunga la statistica e si traduce in un anno di vita in più per le pazienti che assumono questo farmaco”.

Redazione Nurse Times

Fonte: InSalute News

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