A pochi giorni dalla sciopero nazionale che ha avuto un discreto risentimento mediatico e in aggiunta alla manifestazione avvenuta il 15 Ottobre, gli infermieri italiani si ritrovano più che mai di fronte a tantissimi dubbi e perplessità sul futuro della professione infermieristica, “denudati” al massimo di fronte ai propri limiti e ai tanti soprusi subiti nel corso degli anni.
Da mesi gli infermieri italiani stanno dando vita ̶ seppur ancora a voce troppo bassa rispetto a quella che servirebbe ̶ ad una lotta contro le istituzioni per il riconoscimento di molteplici diritti che giustamente spettano ad una professione intellettuale e scientifica come quella infermieristica. Tra i punti forti delle richieste avanzate dai sindacati e da alcuni movimenti ed associazioni di categoria, rimbalza sicuramente in maniera preponderante quello legato al riconoscimento salariale, quest’ultimo congruo alle responsabilità e alle competenze di un professionista della salute quale è l’infermiere. Palesi difatti sono i dati rispetto alle altre Nazioni Europee che sottolineano la profonda differenza in termini di guadagno esistente con i nostri colleghi europei, ma altrettanto nette sono le differenze culturali rispetto ad altre Nazioni, in cui la figura dell’infermiere viene socialmente e culturalmente riconosciuta sia in termini di salario che in termini di competenze (basti pensare all’infermiere prescrittore di presidi e di alcuni classe di farmaci in Spagna o all’infermiere specializzato in chirurgia che in Scozia può eseguire piccoli interventi chirurgici in autonomia). Ed è proprio da questi confronti Europei che nasce il quesito in testa a questo articolo e che ripropongo: Siamo sicuri che l’aumento dello stipendio risolverebbe i problemi dell’infermieristica italiana?
Dando forza al mio ottimismo sempre elevato, la risposta mi sembra abbastanza palese che sia negativa ed i motivi sono contenuti nel quotidiano dell’attività infermieristica italiana. Mi spiego meglio. Se lavorassi in una azienda come ingegnere e venissi pagato poco più di un segretario ma al tempo stesso l’azienda mi costringe illegittimamente a mansioni tipiche del segretario NON presenti nel contratto di lavoro stipulato, per quale motivo questa azienda dovrebbe darmi un aumento dal momento in cui svolgo due mansioni al prezzo di una? Perchè un’azienda dovrebbe aumentare il salario di una categoria professionale che non mostra grosse proteste e che produce nonostante tutto risultati ben accetti? Perchè un’azienda dovrebbe aumentare lo stipendio di un professionista che al posto scegliere di svolgere UNICAMENTE il lavoro per il quale si è specializzato tramite studi accademici acconsente volutamente alla deprofessionalizzazione del suo lavoro senza intaccarne però i profitti di azienda? Inviterei prima di proseguire la lettura di questo articolo a rispondere a queste domande in maniera del tutto sincera e spontanea.
Se avete risposto ai quesiti di sopra, allora siete interessati a proseguire la lettura e ve ne ringrazio in anticipo. Premesso che non voglio con queste parole sin qui dette impartire lezioni di psicologia del lavoro e delle organizzazioni aziendali, urge piuttosto assolutamente capire come l’aumento salariale sia direttamente collegato all’immagine che la professione infermieristica da di se al servizio pubblico con cui lavora (utenti/pazienti/clienti) e ai dirigenti e datori di lavoro per la quale eroghiamo le nostre prestazioni professionali. L’attività lavorativa va misura su diversi problemi e molteplici variabili, tra cui le responsabilità civili e penali alla quale si potrebbe incorrere e
l’esclusività delle competenze che eroghiamo (ossia in parole povere dimostrare che il lavoro dell’infermiere può essere fatto SOLAMENTE dall’infermiere).
Se ad oggi l’infermiere italiano medio ritiene che le mansioni che dovrebbero essere svolte ESCLUSIVAMENTE dall’Operatore Socio Sanitario (vedi Allegati A-B-C dell’accordo Stato Regioni del 2001 che definisce il Profilo Professionale degli OSS), siano anche di competenza infermieristica, capiamo facilmente come la pretesa di un aumento salariale sia davvero difficile da
ottenere e forse anche da richiedere alla luce dei problemi d’identità di cui soffre la categoria. Se l’infermiere medio italiano pensa che il rifacimento di un letto sia più importante di una corretta valutazione neurologica e del rischio caduta di un paziente, esso sbaglia 2 volte: la prima perchè si sostituisce ad una figura ̶ quella dell’OSS ̶ che ha totale autonomia come da profilo professionale di tali mansioni e causando indirettamente la carenza di tali figure INDISPENSABILI nei vari contesti ospedalieri sia privati che pubblici; la seconda perchè l’infermiere che svolge mansioni al di sotto del suo campo di competenza deprofessionalizza il proprio lavoro non occupandosi altresì di una competenza esclusiva che gli appartiene e non attuabile da nessun’altra figura all’interno dell’èquipe.
Se ci pensate, anche per costruire una casa tutte le figure preposte sono fondamentali: dal muratore, all’ingegnere edile, al geometra fino ad arrivare all’architetto; ma quanti di voi hanno visto un ingegnere svolgere il lavoro del muratore “per il bene del proprietario di casa”, tralasciando le sue vere mansioni o svolgendole male per dare spazio ad una competenza che non gli spetterebbe svolgere? Oltretutto questo causerebbe danni indiretti all’acquirente dell’immobile in costruzione perchè magari per esempio alcuni dati catastali potrebbero risultare inesatti e tali errori magari non sarebbero mai emersi se l’ingegnere piuttosto che occupare la sua attività lavorativa in prestazioni non di sua competenza si fosse preoccupato delle SUE mansioni ingegneristiche.
Applichiamo lo stesso concetto al paziente all’interno di una Unità Operativa. Non è il demansionamento in sè il solo problema, ma i rischi invisibili che tale pratica porta all’utenza e tutte le possibili conseguenze che magari al momento dell’ospedalizzazione non sempre si evidenziano ma che potrebbero tradursi alla dimissione del paziente e al suo ritorno alla vita normale.
Questi esempi spero portino alla riflessione che un aumento salariale non deve semplicemente essere “gridato” in un giorno di sciopero, ma si deve guadagnare con la CANCELLAZIONE di una vecchia e retrograda cultura professionale che non appartiene da anni alla categoria infermieristica, lasciando spazio al coraggio di essere i professionisti che gridiamo di essere ma che abbiamo paura di mostrare nella realtà lavorativa quotidiana.
L’appello che lancio alla comunità infermieristica italiana è di mostrare fierezza di essere infermieri, dimostrando ogni giorno, sia in ospedale sia nell’attività libero professionale, che le nostre competenze sono indispensabili e non sostituibili nel sistema sanità.
Dott. Gaetano Ciscardi
Coautore Infermieri in cambiamento
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