Giuseppe Papagni, presidente dell’Ordine di Barletta-Andria-Trani: “Il nostro messaggio è rivolto non solo alla popolazione, ma anche ai nostri amministratori, affinché avviino al più presto tutti i progetti previsti dal Pnrr”.
Una delle problematiche che balza troppo spesso agli onori della cronaca e affligge gli ospedali, soprattutto in estate, è il sovraffollamento dei pronto soccorso. Negli ultimi quarant’anni, infatti, si è rilevato un progressivo aumento dell’utilizzo dei servizi sanitari d’emergenza.
Ancora oggi lo scopo e le funzioni del pronto soccorso non sono ben chiare alla popolazione. Il Ps si può definire come una struttura ospedaliera che garantisce l’esecuzione dell’attività diagnostica e terapeutica ai pazienti che accedono in ospedale in situazione di emergenza o urgenza e che richiedono interventi immediati.
Questo concetto, però, sembra ancora poco noto e la popolazione si rivolge al pronto soccorso in maniera costante, determinando un vero e proprio sovraffollamento, sebbene a oggi non esista una definizione univoca del termine. Tuttavia l’idea generale è quella di eccedenza della domanda di prestazioni richieste rispetto alle risorse disponibili.
Secondo Giuseppe Papagni, presidente di Opi BAT, “le cause del sovraffollamento sono molteplici, multifattoriali, estrinseche e intrinseche all’organizzazione del sistema dell’emergenza, prime tra tutte l’impossibilità di ricovero dei pazienti nelle unità operative per indisponibilità di posti letto dopo aver terminato la fase di cura nel pronto soccorso e gli accessi inappropriati”.
In particolare, la letteratura si è focalizzata su quest’ultimo problema. “Per ‘non urgenze’ – continua Papagni – si intende una categoria di persone piuttosto eterogenea che si reca al pronto soccorso, ma che sarebbe potenzialmente rinviabile al medico di base, dal momento che in sede di triage le viene assegnato un codice di priorità basso (alfanumerico oppure codice-colore) e in cui sussiste un’assenza delle compromissioni delle funzioni vitali, del rischio evolutivo di compromissione e della sofferenza oggettiva psichica o fisica della persona o di un suo organo”.
Gli accessi inappropriati al Ps oggi hanno purtroppo raggiunto dimensioni allarmanti. Infatti, nonostante la variabilità del range a livello dei diversi Paesi europei e non, con sistemi sanitari ad accesso universale, si raggiungono punte massime del 54% di accessi dei codici bianchi sul totale negli Usa, del 40,9% in Europa e del 40% in Italia.
Tra le cause che spingono all’accesso indiscriminato al pronto soccorso figurano:
• la costante disponibilità di risorse, in quanto il Ps rappresenta per la popolazione non urgente la porta di ingresso al Ssn;
• l’accessibilità sulle 24 ore;
• la difficoltà di usufruire di percorsi alternativi;
• la preoccupazione e l’ansia, la necessità percepita su un secondo parrere.
Le conseguenze che ne derivano non possono che essere gravi, tra cui:
• le inappropriate permanenze in barella dei pazienti, anche per diversi giorni, e il relativo incremento degli eventi avversi, con l’aumento della mortalità a 10 e a 30 giorni;
• l’allungamento dei tempi d’attesa;
• la riduzione della qualità dei servizi;
• la perdita di risorse economiche;
• la riduzione della soddisfazione complessiva del personale.
Tutto ciò si traduce in un’inefficienza insostenibile. Dagli studi emerge che esiste una componente di consapevolezza nell’accesso delle persone con codice di bassa priorità al pronto soccorso per condizioni di non urgenza. Tale consapevolezza nell’inappropriatezza della propria scelta può essere coerentemente motivata con alcune riflessioni, quali l’assenza di servizi o di percorsi alternativi che forniscano una risposta di qualità, ma in maniera facile e in tempi brevi, similmente a quello che fa il Ps, senza compromettere il sistema di emergenza-urgenza e fomentare il sovraffollamento.
La letteratura, ancora, fornisce i dati relativi all’accesso in pronto soccorso, prevalentemente causato dal traumatismo minore e riconducibile alla disponibilità immediata del servizio di radiologia in regime di urgenza. Infine, per quanto riguarda la gravità e la preoccupazione, i valori che emergono in letteratura suggeriscono un’interpretazione strettamente personale dei concetti classici di urgenza ed emergenza, così come della valutazione dei parametri vitali.
La crisi del sistema di emergenza-urgenza, in particolare quella del pronto soccorso, potrebbe essere affrontata potenziando l’assistenza territoriale. Ecco che entra allora in gioco il ruolo importante rivestito dal medico di medicina generale e dall’infermiere di famiglia.
Nonostante il medico di medicina generale sia individuato dalla popolazione quale professionista a cui rivolgere prevalentemente la propria ricerca di cure, le persone si rivolgono al pronto soccorso, e non se ne comprendono i motivi. Con l’istituzione dell’infermiere di famiglia, prevista nella Missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), l’assistenza territoriale interviene in maniera preponderante sull’assetto e sull’organizzazione del Ssn, consentendo ai cittadini di ricevere una risposta celere e professionale ai bisogni di salute.
Il Dm 77 prevede le case di comunità (Cdc) – aperte sette giorni su sette per 24 ore, con in servizio, a rotazione, medici di medicina generale, pediatri e infermieri – e le centrali operative territoriali (Cot), che indirizzano il cittadino verso il servizio utile alle proprie esigenze di salute. Nel caso in cui la problematica sia troppo importante e all’interno delle case di comunità non possa essere risolta, il cittadino è messo nelle condizioni di andare all’ospedale della comunità, una struttura in grado di gestire patologie acute, ma anche aggravamenti di malattie croniche.
“Il DM 77 prevede ogni tipo di intervento di assistenza sanitaria, in qualsiasi momento, senza che il cittadino debba per forza andare in un grande ospedale, e quindi in un pronto soccorso, rischiando di intasarlo con patologie risolvibili diversamente – continua Papagni –. Fornire una maggiore consapevolezza sul corretto utilizzo dei servizi ospedalieri e territoriali è il motivo che ha spinto il nostro Ordine professionale ad avviare una campagna informativa sul tema, denominata #AiutateciAcurarvi”.
Conclude il presidente di Opi BAT: “Utilizzare i servizi di emergenza urgenza per le reali necessità è garanzia per la salute di tutti i cittadini che vanno incontro a patologie ‘tempo dipendenti’, le quali richiedono un intervento sanitario immediato. Siamo altresì consapevoli che fino a quando l’assistenza territoriale non entrerà nel pieno della sua operatività con l’istituzione di case e ospedali di Comunità e delle centrale operativa territoriale, la nostra campagna informativa rimarrà fine a se stessa. Il nostro messaggio è quindi rivolto non solo alla popolazione, ma anche ai nostri amministratori, affinché avviino al più presto tutti i progetti previsti dal Pnrr”.
Redazione Nurse Times
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