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Sindrome feto-alcolica, conoscerla meglio per imparare a combatterla

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In occasione della Giornata mondiale dedicata a questa patologia abbiamo intervistato Claudio Diaz, presidente AIDEFAD.

Oggi, 9 settembre, ricorre la Giornata mondiale si sensibilizzazione sulla sindrome feto-alolica e i disturbi correlati. Per l’occasione abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Claudio Diaz, presidente dell’Associazione italiana disordini da esposizione fetale ad alcol e/o droghe (AIDEFAD). Quest’ultima è nata un anno fa con l’obiettivo di implementare la diagnosi di DEFAD e promuovere un modello di prevenzione basato su più livelli: informare le donne e i loro partner sul rischio rappresentato dall’alcol per il nascituro; arrivare a un riconoscimento tempestivo del rischio correlato a una gravidanza esposta all’alcol o a sostanze psicoattive; sensibilizzare l’opinione pubblica su un corretto comportamento durante la gravidanza, in rete con le già esistenti esperienze nazionali e internazionali sul tema.

La chiacchierata non può che partire da una definizione della problematica: «FASD (Fetal Alcohol Spectrum Disorders, Spettro dei disordini feto-alcolici) è un termine “ombrello” utilizzato per descrivere la grande eterogeneità di sequele che possono colpire le persone esposte all’alcol durante la gravidanza e l’allattamento. L’alcol è una sostanza teratogena (produce anomalie o malformazioni nell’embrione) che oltrepassa la placenta e viene assorbita dal feto, provocando moltissimi danni: dalle anomalie che coinvolgono i tratti del viso, il cuore, le ossa, il sistema neuroimmune, il sistema gastrointestinale e il sistema nervoso centrale, a disturbi di tipo cognitivo e comportamentale. L’insieme di problemi più gravi e clinicamente riconoscibili è la sindrome feto-alcolica (FAS). Se la diagnosi, pur sintomatica, non giunge fino all’adolescenza, i riscontri più tipici sono lo sviluppo di dipendenze, la psichiatrizzazione con diagnosi di disturbo bipolare, la depressione o altri simili».

Inoltre c’è un capitolo strettamente connesso ai disturbi da esposizione fetale ad alcol e/o droghe (DEFAD): quello delle adozioni e degli affidi: «In questa particolare popolazione i tassi di DEFAD sono molto più alti, ma al contempo rendono più difficile l’iter diagnostico, in quanto mancano le informazioni relative alle origini biologiche. I DEFAD sono una malattia “invisibile”, che tende a manifestarsi quando il bambino comincia a diventare più grande. I sintomi più visibili sono le alterazioni neuro-comportamentali e delle funzioni esecutive o adattive, che tendenzialmente vengono ricondotte a ragioni psicologiche e/o psichiatriche e che conducono inesorabilmente alla definizione di diagnosi sintomatiche come ADHD, spettro autistico o disruptive mood dysregolation disorders».

Il messaggio che AIDEFAD intende lanciare in occasione della ricorrenza odierna (ma non solo) si articola su due piani: «Innanzitutto il piano della prevenzione quale strumento primario per la cancellazione del problema. Sì, perché il problema sarebbe del tutto eliminato se tutti i futuri genitori si astenessero dal bere e dall’assumere sostanze stupefacenti. E poi il piano della corretta e precoce diagnosi, fondamentale per evitare non solo che i bambini incorrano nei disturbi di cui abbiamo parlato, ma per evitare anche il conseguente sperpero di risorse».

L’Italia è ai primi posti nel mondo per incidenza della sindrome feto-alcolica. Per Claudio Diaz si tratta di una questione culturale: «Spesso mi raccontano di donne incinte a cui i medici dicono che uno spritz ogni tanto non crea alcun problema. Per non parlare delle credenze popolari secondo le quali la birra farebbe buon latte o aiuterebbe a dormire meglio. La verità è che non esiste un margine di sicurezza per l’assunzione di alcolici in gravidanza. Nel dubbio, quindi, l’unica soluzione è non bere affatto, come ha ribadito anche l’Oms. E la questione non riguarda solo le future madri. Anche gli uomini dovrebbero astenersi, sia per fornire un sostegno alla compagna sia perché l’alcol assunto dal padre pochi momenti prima del concepimento può comportare modificazioni degli spermatozoi da cui deriva una sindrome molto simile a quella feto-alcolica».

C’è poi il discorso delle cosiddette sequele secondarie: «A ottenere una diagnosi precoce, in genere, sono coloro che presentano dismorfismi facciali. In realtà le sofferenze maggiori toccano a chi presenta sintomi meno evidenti. La nostra associazione vuol farsi portavoce soprattutto di questi ultimi, affinché i professionisti della salute mettano a punto linee guida precise per la diagnosi delle sequele secondarie legate alla sindrome. È importante insegnare loro a prendere consapevolezza del proprio problema, così come è importante insegnare loro le strategie per gestirlo».

Il prossimo 23 settembre si terrà al Senato il convegno intitolato “Alcol, sostanze psicoattive e gravidanza: un’alleanza tra cultura, tutela e diritti”, che vedrà riunirsi i massimi esperti italiani per dare vita ad un’alleanza con le istituzioni. «Sarà la giusta occasione – spiega Claudio Diaz – per soffermarsi sulla sindrome feto-alcolica e sui problemi correlati, compresi quelli da esposizione a sostanze psicoattive, ampliando la visione della patologia ai risvolti sociali e alle varie problematiche legate anche al mondo della tutela e dei diritti. Istituzioni, esperti del settore, stakeholder saranno impegnati in una profonda riflessione, che spazierà dalla descrizione della patologia ai problemi correlati per dar spazio a esperienze e testimonianze, completando il quadro con uno spaccato su tutela e diritti focalizzati sul tema “adozioni e salute”».

Il convegno avrà luogo nella Sala dell’Istituto Santa Maria in Aquiro (Piazza Capranica, 72). Per partecipare è necessario accreditarsi, inviando una mail a [email protected] entro il 17 settembre.

Redazione Nurse Times

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