Lo sostengono, in un’intervista rilasciata ad Alleati per la Salute, gli esperti Maria Rosaria Di Somma (Aisc) e Damiano Parretti (Simg).
In Italia 1 milione e 200mila persone soffrono di scompenso cardiaco cronico, in particolare tra gli over 65. Ma nonostante l’insufficienza cardiaca sia uno dei big killer della cardiologia, “una delle maggiori criticità nella gestione della patologia è rappresentata dalla diagnosi tardiva”, afferma Maria Rosaria Di Somma, consigliere delegato dell’Associazione italiana scompensati cardiaci (Aisc) in un’intervista pubblicata sul sito di Alleati per la Salute (www.alleatiperlasalute.it), nuovo portale dedicato all’informazione medico-scientifica realizzato da Novartis. “Spesso i sintomi vengono sottovalutati dal paziente e dallo stesso medico – sottolinea Di Somma –. Risultato? Nella maggior parte dei casi, la diagnosi di scompenso cardiaco avviene nella fase acuta, ovvero durante il ricovero in ospedale”.
“Invece la diagnosi precoce è importante per poter intervenire prima sui danni, ma soprattutto è fondamentale una prevenzione primaria – sottolinea Damiano Parretti, responsabile nazionale Area Cardiovascolare Simg (Società italiana di medicina generale e delle cure primarie) nella stessa intervista -. Occorre intervenire in modo tempestivo per intercettare i fattori di rischio affinché lo scompenso cardiaco non si manifesti. I campanelli d’allarme sono tanti. Il medico di medicina generale di fronte ai suoi pazienti che abbiano alcune caratteristiche deve essere attento se si verifica una riduzione di resistenza allo sforzo oppure una riduzione idrica, con edemi, gonfiore alle caviglie, incremento di peso, difficoltà respiratorie”.
“La pandemia di coronavirus ha avuto e ha un notevole impatto sul paziente scompensato e sul monitoraggio dell’evoluzione della malattia – aggiunge Di Somma –, ancora oggi trascurata dal paziente perché evita di andare in ospedale o nell’ambulatorio per paura del contagio, perché il sistema sanitario sta dando priorità ai pazienti Covid e perché lo stesso scompensato ha difficoltà a contattare il proprio medico di medicina generale. Fortunatamente, la telemedicina si è dimostrata un valido strumento per assicurare, seppure in remoto, la continuità delle cure e dell’assistenza”.
Nel nostro Paese lo scompenso cardiaco è la prima causa di ricovero in ospedale con una spesa stimata per il Ssn di oltre 650 milioni di euro l’anno, secondo i dati forniti da Aisc. La malattia, oltre ad avere un costo sociale molto oneroso, ha un notevole impatto sulla qualità della vita del paziente. Ma soprattutto lo scompenso cardiaco è gravato da un elevato tasso di mortalità: oltre il 25% dei pazienti muore entro un anno dalla diagnosi e circa la metà entro cinque anni ed è stato stimato che ogni ricovero ospedaliero correlato allo scompenso triplichi il rischio di morte entro 12 mesi. Inoltre la prevalenza della malattia aumenta di circa il 2% per ogni decade di età, sino a raggiungere almeno il 10% nei pazienti over 70.
“È una patologia cronica, progressiva, invalidante e molto complessa da curare – spiega Di Somma – e riguarda l’anziano che, quasi sempre, oltre allo scompenso cardiaco ha anche altre malattie croniche. Ciò fa sì che abbia bisogno di un sistema di cure più complesso. Eppure, ad oggi in Italia non esistono centri per lo scompenso cardiaco”.
“Colpisce prevalentemente pazienti con storia di ipertensione arteriosa e portatori di danni d’organo cardiaci – ricorda Parretti –. Si manifesta clinicamente in modo eterogeneo. Alcune volte con respiro corto, dolore e gonfiore alle estremità , aumento di peso, tosse con espettorato, frequente minzione. Altre volte, invece, fa la sua comparsa con sintomi, quali debolezza, disturbi del sonno, confusione, perdita di coscienza, congestione e ritenzione idrica, oltre alla riduzione della portata cardiaca”.
La gestione dello scompenso cardiaco, secondo gli esperti, non può prescindere da un approccio multidisciplinare (medico di base, specialista ambulatoriale e ospedaliero) e, laddove sia possibile, dal supporto di un caregiver. “Il sospetto diagnostico deve essere a carico del medico di medicina generale – afferma Parretti –, ma il cardiologo è essenziale sia per un inquadramento diagnostico iniziale e preciso e poi in follow-up. Ovveroì quando, nonostante la terapia, si verificano aumento di peso, dispnea, confusione mentale e segni di alterazioni della funzione renale. Il medico di medicina generale deve fare sempre un monitoraggio proattivo, non attendere il paziente ma cercarlo, seguire la sua condizione clinica generale attraverso alcuni parametri che possono essere rilevati e trasmessi anche telefonicamente, come per esempio la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, la saturazione d’ossigeno e il monitoraggio del peso corporeo. La gestione dello scompenso cardiaco deve essere integrata e comprendere cardiologi, internisti, nefrologi e infermieri specializzati”.
Redazione Nurse Times
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