Nurse Times ha invitato tutti i candidati alla presidenza della regione alle prossime elezioni in Puglia a rispondere alle nostre domande. Come è gestito il sistema sanitario in Puglia? Cosa va cambiato? Il candidato Mario Conca, di Cittadini Pugliesi, risponde alle nostre domande in tema di sanità, lavoro e gestione dell’emergenza.
L’intervista a Mario Conca
Qual è la sua idea sull’organizzazione attuale del sistema sanitario regionale?
Una cosa è certa, il sistema sanitario pugliese va riformato. Sia Fitto, sia Emiliano, in continuità a quello che aveva fatto Vendola, sono la le due facce della stessa medaglia. E sono corresponsabili di un disastro chiamato sanità. 15 mila addetti in meno in quindici anni e 800 milioni di euro di mancato riparto del fondo sanitario nazionale. Le risorse umane sono quelle più importanti in sanità e in questi 3 lustri, non potendo assumere, è stato un crescendo di privatizzazioni, convenzioni ed esternalizzazioni che hanno portato a un impoverimento dell’offerta pubblica, fatto aumentare la gestione clientelare e alimentato il precariato.
Ma poi le liste d’attesa infinite, la chiusura degli ospedali perché ritenuti antieconomici che invece non lo sono, l’affido dei servizi di mensa e pulizia a cooperative esterne, che è un gioco di mercimonio elettorale che fa perdere denaro ai contribuenti che potrebbe essere reinvestito nell’assistenza ai disabili. Sono solo alcuni dei problemi che la sanità pugliese ha. Senza contare il 118 che ha una dotazione di mezzi di soccorso assolutamente insufficiente a coprire il territorio in termini quantitativi, e qualitativi e più in generale la mancanza di equità e meritocrazia in un sistema ancora piantato sul baronato e sul nepotismo.
Negli ultimi anni, nel corso di questo periodo amministrativo, ha fatto molto discutere la scelta del governatore di mantenere la delega per la sanità affidandosi più che a politici a tecnici (come è successo con Ruscitti, Montanaro e ora con Lopalco). Cosa ne pensa per il futuro? Va bene continuare con una gestione tecnica o bisognerebbe virare per una direzione politica?
Assolutamente sbagliato scegliere figure tecniche perché il ruolo assessorile deve essere politico, perché è questi che deve intermediare tra la cittadinanza e la dirigenza amministrativa. Emiliano ha tenuto per se una delega che invece avrebbe dovuto assegnare ad uno dei suoi consiglieri.
Il sistema sanitario regionale dovrebbe, in futuro, puntare su grandi poli ospedalieri o piuttosto su piccoli ospedali diffusi sul territorio?
I grandi ospedali, gli ospedali universitari e i centri di eccellenza hanno decisamente una loro importanza fondamentale sia come hub sanitario che come centri di ricerca. Ma non è possibile rinunciare ai piccoli ospedali del territorio che servono tempestivamente diverse città lontane da, appunto, quelli grandi. La chiusura dei piccoli ospedali, ricordiamo che ne sono stati chiusi una cinquantina negli ultimi vent’anni anni, richiede allora la preventiva apertura e la piena attivazione dei PTA, che contengono gli stessi ospedali di comunità. Occorre strutturare il territorio sino ad oggi sedotto e abbandonato, incentivando la figura dell’Infermiere di comunità che è oggetto di una mia mozione che è restata lettera morta perché hanno preferito il Care Puglia, una sorta di caporalato dei MMg. Oggi, e lo diciamo nel nostro programma, servirebbe una mappatura delle strutture ospedaliere esistenti, comprese quelle potenzialmente funzionanti e quelle dismesse, al fine di una migliore programmazione, più efficiente gestione e costante monitoraggio degli investimenti in edilizia e tecnologie sanitarie. Valorizzare l’esistente per migliorare i servizi sanitari portando ad eccellenza le strutture esistenti e potenziando la medicina Territoriale.
Il progressivo invecchiamento della popolazione, anche in Puglia, pone due problemi di carattere sociale oltre che sanitario: il primo è il problema della prevenzione e il secondo è quello del bisogno di assistenza sanitaria territoriale. Quali sono gli strumenti da mettere in atto perché un sistema sanitario possa sopperire alle due situazioni sociali?
Infermiere di famiglia per la domiciliarità, ruolo unico del medico per riempire i contenitori vuoti quali i PTA e gli ospedali di Comunità che facciano sanità di prossimità oggi assente. Bisogna dare centralità del fascicolo sanitario elettronico, alla telemedicina e alla organizzazione di servizi in maniera meritocratica, perché senza lavelli apicali capaci nulla è migliorabile.
Qual è la sua idea sull’attuale gestione delle Residenze Sanitarie Assistenziali, strutture private che imprescindibilmente si trovano a collaborare con il pubblico, cosa ne pensa, soprattutto alla luce dell’esperienza pandemica?
Le RSA, come tutto il resto che riguarda la salute, dovrebbero essere gestite dal pubblico perché solo il pubblico non deve fare utili e potrebbe garantire la giusta assistenza senza risparmiare. Oggi molte RSA vengono fatte dal pubblico e gestite in convenzioni a vita dai privati, troppo comodo, i privati dovrebbero costruirle con i propri fondi se vogliono fare impresa. Oggi, grazie al Covid, sono bloccati ingressi e dimissioni, è impasse che sta mettendo a dura prova i nostri anziani costretti nelle camere senza poter socializzare e le loro famiglie che non possono andare a visitarli come un tempo.
In materia di formazione, come pensa si possa implementare e recuperare una maggiore integrazione tra mondo universitario e formativo e mondo professionale in materia sanitaria?
Anche qui stiamo assistendo ad una notevole diminuzione della qualità della formazione del personale operante nei servizi pubblici. Le attività ispettive sulla qualità dei corsi erogati anche da centri di formazione privati, sono in gran parte affidate ad organismi non prettamente tecnici ed i cui componenti spesso collaborano con centri di formazione privati, con i quali hanno legami familiari. Al fine di scongiurare tutto ciò, per una formazione qualitativamente più elevata, la verifica di qualità dei corsi di formazione deve essere espletata esclusivamente da centro di formazione pubblico, e da personale che non svolge in alcun modo attività formativa nel privato. Le verifiche effettuate attualmente da enti esterni, comportano dei costi che potrebbero essere oggetto di riduzione, con conseguente risparmio per le casse pubbliche. Ovviamente l’offerta formativa deve essere adeguata all’epidemiologia e alla quiescenza degli operatori sanitari, sulla scorta degli atti aziendali che le Asl non perfezionano mai per alimentare le clientele. Ho personalmente denunciato la mancanza di sicurezza e di criteri della scuola Infermieristica dell’IRCCS De Bellis di Castellana, per fare un esempio.
Precariato e disoccupazione sono realtà e problematiche pressanti nel nostro presente. Si dovrebbe prediligere un percorso di stabilizzazione dei lavoratori con conseguente riduzione dei precari oppure bisognerebbe puntare, invece, sull’aumento dei concorsi per una continua e fluida possibilità d’ingresso nel mondo del lavoro? Le cose sono in qualche misura conciliabili?
Devo dire che, a parte la situazione di emergenza attuale e la profonda stima per chi oggi sta lavorando rischiando la vita per mancanza di DPI con contratto a termine, per me questa annosa abitudine delle stabilizzazioni è una sconfitta per la pubblica amministrazione. Stiamo stabilizzando senza concorso ormai da anni e stiamo prorogando anche per anni il termine di maturazione dei requisiti, in barba all’articolo 97 della Costituzione. È evidente che, davanti a continui e assurdi vincoli assunzionali posti dal Mes e dal Mis che rendono inderogabile una modifica radicale del SSN e della legge 194/1998 sugli schizofrenici piani di rientro, il tempo determinato sia diventato per le Regioni una necessità per garantire i livelli essenziali di assistenza è che per la Puglia varrebbe 100 milioni di euro che puntualmente sforiamo. C’è poi l’annoso problema delle lungaggini per l’espletamento dei concorsi, quasi tre anni per quello degli OSS, che ovviamente alimentano precariato. Ci sono tante graduatorie che non vengono escusse e si fanno avvisi pubblici che poi alimentano aspettative e richiedono proroghe della Madia… un cane che si morde la coda.
Alla luce dell’emergenza sanitaria si è riscontrata in maniera più evidente la problematica delle responsabilità in campo medico. Quale è la vostra idea sulla possibilità di introdurre uno scudo penale che in qualche modo protegga le aziende sanitarie?
La questione penale è prerogativa assoluta dello Stato, ma esiste già una norma che con la Gelli ha chiamato alle proprie responsabilità gli operatori sanitari per le questioni legate ai cosiddetti casi di malasanità. Per quanto concerne il Covid-19, invece, ritengo assolutamente indecoroso che gli operatori debbano essere chiamati in solido con l’azienda che non rispetta le elementari procedure di accortezza. Dal Rischio clinico, al DVR, dalla mancanza di dispositivi di protezione individuali alla inesistenza delle aree grigie.
Come pensa sia stata gestita l’emergenza coronavirus nella nostra regione?
La gestione di questi mesi è stata pessima. Sono state emesse una serie di ordinanze zoppicanti e completamente prive di visione del futuro dal presidente della Regione Michele Emiliano e dalla task Force di Pierluigi Lopalco. Ordinanze incomplete che la gente doveva interpretare, salvo poi essere modificate in corsa, che dovevano essere spiegate, che hanno costretto i cittadini pugliesi a vivere nell’incertezza, anche quella del lavoro. Non parliamo dei tamponi e dei reagenti per i quali il governatore Emiliano ogni volta, in pompa magna, annunciava l’arrivo di milioni di campioni (con la possibilità di fare decine di migliaia di test al giorno) ma poi tutto veniva ritardato o non arrivava proprio. Negli ospedali pugliesi mancano i reagenti, mancano i tamponi, alcune strutture sanitare persino si rifiutano di effettuare test anti Covid perché questi bastano solo per gli interni, la riorganizzazione dei reparti è fatta con criteri assurdi e improvvisati (a Bari, dopo aver chiuso il Covid Hospital, hanno deciso di mettere i pazienti Covid in un reparto per pazienti immunodepressi, una follia). E non parliamo di mascherine, tute e visiere che, ospedali a parte (e neanche tutti) mancano per i dipendenti pubblici per i dipendenti non del comparto sanitario e che devono portarsele da casa. Inoltre, ad oggi, non abbiamo ancora un piano regionale per la ripresa economica, per la riorganizzazione scolastica e universitaria, così come per il comparto agricolo e quello turistico. Siamo alla mercé di un nemico invisibile e con le armi spuntate.
Quali sono i piani d’azione per il futuro in previsione dell’autunno nell’ottica dell’emergenza sanitaria?
Emiliano è andato raccontando alle TV di mezzo mondo che avremmo fatto almeno 5 mila tamponi al giorno partendo dal personale sanitario, che potevamo accettare pazienti dalla Lombardia e che il piano di guerra per fronteggiare il picco massimo era pronto.
La verità è che gli ospedali sono al collasso e abbandonati a se stessi, il personale è in preda al panico perchè combatte un nemico invisibile senza dispositivi di protezione individuale. Non gli vengono fatti i tamponi per tranquillizzarli e preservarli, ma quando glieli fanno, su casi sospetti o conclamati, non danno nessuna risposta. In barba a ciò che suggerisce l’WHO, si continua a preferire la promiscuità di ospedali a pressione positiva, alla stregua di vasi comunicanti, alle strutture dedicate ed esclusive a comparti stagni. MonteLaureto ad esempio sarebbe un esempio perfetto di sanatorio isolato da tutto e tutti. Il coordinamento regionale delle Terapie Intensive e restato sulla carta! È una vergogna assistere a tanta improvvisazione, spettacolarizzazione e ipocrisia, che nulla ha insegnato. Che Dio ce la mandi buona.
A lungo termine come sarà pronta la nostra regione alle situazioni epidemiche, alla luce dell’esperienza coronavirus?
Difficile rispondere. Come detto la Regione al momento non ha una visione del futuro, piani da qui a qualche mese non esistono. Tutto sembra improvvisato momento per momento e vige la regola dell’attendismo. C’è un affanno nell’emettere zoppicanti decreti per il controllo delle persone in transito dall’estero, il che è giusto ma non con modalità a dir poco frettolose e disorganiche, ma dimentica i servizi di base, continuando a non avere un quadro sistemico del Servizio Sanitario Regionale. Questo significa costringere i cittadini a continui disagi e disservizi.
La gente vive nell’incertezza, tante persone devono effettuare analisi o operazioni non urgenti ma ancora tutto va a rilento. E nell’improvvisazione di tutto ciò come si può pensare che la Regione così governata sia pronta, in questo momento, a riunirsi per studiare un piano sanitario nuovo? Ci hanno detto che ora dobbiamo imparare a gestire quella che è stata l’emergenza come se fosse l’ordinario. Ma a me sembra tutto il contrario. Oggi gli ospedali ancora non hanno gli strumenti di base per analizzare e affrontare il virus. Se mancano ad esempio gli strumenti basilari per fare i tamponi come si può pensare che tutto un sistema sia pronto e preparato per un’altra pandemia? Non voglio fare terrorismo ma è evidente che l’attuale governance è completamente incapace a gestire situazioni emergenziali. Ma come si può gestire la sanità di una regione senza affidare la delega a un Assessore? Come può il presidente di una Regione esserne anche l’assessore alla Sanità? Come può pensare a gestire centinaia di problemi e poi dedicarsi nello specifico a un settore senza averne il tempo e le competenze?
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