Quando a Marzo sono arrivata a fare il mio turno di notte e mi sono ritrovata il cartello “Area Covid-19” che imperava sopra alla porta del mio reparto le sensazioni sono state tante: paura, ansia, senso di inadeguatezza nei confronti di una situazione più grande di me.
Pensavo alla me di qualche anno prima con addosso quella corona d’alloro che mai avrebbe immaginato di trovarsi a combattere una pandemia globale. L’entusiasmo, però, seppur nascosto sotto occhi spaventati, la faceva sicuramente da padrone.
Quando a Ottobre mi sono ritrovata nella medesima situazione, il caro e vecchio entusiasmo di qualche mese prima mi aveva totalmente abbandonato. Le ginocchia mi tremavano con più consapevolezza, con i ricordi di un tempo non così lontano che mi ritornavano tutti alla mente mentre mi impratichivo per attaccare strisce per terra che delimitassero percorsi puliti e sporchi.
Sapevamo a cosa andavamo in contro e questo spaventava terribilmente me e tutti i miei colleghi che speravamo; in cuor nostro, non si presentasse una situazione analoga a quella di Marzo. Siamo stati accontentati: è stato sicuramente tutto molto peggio e continua ad esserlo.
Nel giro di qualche ora abbiamo assistito alle medesime scene: occhi spaventati in cerca di aria, persone che muoiono sole e al telefono voci di mogli a casa distrutte dal fatto di non aver potuto dare l’ultimo saluto all’amore di una vita. Nel giro di altrettanto poco tempo ci siamo ritrovati a contare i colleghi che uno dopo l’altro iniziavano a manifestare sintomi e a positivizzarsi e questo credo ci abbia tolto moltissima forza.
Nell’immaginario comune a Marzo eravamo gli eroi da sostenere, con i segni dei dispositivi di protezione sul volto; poi siamo diventati nel giro di pochissimo tempo collaboratori dei poteri forti che non si sa bene per quale guadagno parlano di un virus inventato.
Se l’opinione pubblica non è più dalla nostra parte, trattamento non molto differente ci è riservato dalle Aziende dove siamo sin da subito stati additati come quelli che, per poca attenzione; durante fantomatiche pause caffè e colazioni di gruppo al bar avevano desiderio di contagiarsi l’un l’altro. Sono risultata positiva al Covid-19 il 25 di Novembre.
Sono stata veramente fortunata: con me il virus è stato magnanimo. Nonostante ciò, seppur da paucisintomatica, mi sono resa conto di che nemico subdolo abbiamo davanti. La cosa più assurda è che quando ho saputo di aver contratto il virus ho quasi tirato un sospiro di sollievo: dopo un mese di paura e terrore di contagiarmi la mia positività è stato un po’ mettere fine alle mie paranoie.
Non ho preso caffè con nessuno, non sono uscita a fare aperitivi, lavavo morbosamente le mani e le cose che utilizzavo, eppure non è bastato. Saranno stati i turni massacranti, l’ansia, la stanchezza…chi lo sa, quel che è certo è che non è bastato.
Visto che siamo in procinto di feste e di auguri, colgo l’occasione per augurarmi di non dover fare più il conto settimanale di chi tra di noi diventa positivo; di smettere di vedere quei visi spaventati tra colleghi e pazienti; di poter tornare presto a sorridere alla signora Rossi, a farmi raccontare delle sue nipoti dal signor Bianchi o a parlare di permanente con la signora Verdi mentre le somministro trattamenti palliativi.
Mi auguro di continuare a credere che andrà bene e che presto tutto questo sia per molti solo un ricordo. Sicuramente per noi infermieri dimenticare tutto questo sarà veramente difficile.
Infermiera Chiara Facondini
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