Il nuovo rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni italiane evidenzia numeri in calo su tutti i fronti e la conseguente impossibilità di contare sulle risorse necessarie durante l’epidemia.
“La crisi drammatica determinata da Covid-19 ha improvvisamente messo a nudo fino in fondo la debolezza del nostro Sistema sanitario e la poca lungimiranza della politica nel voler trattare il Ssn come un’entità essenzialmente economica alla ricerca dell’efficienza e dei risparmi, trascurando il fatto che la salute della popolazione non è un mero fringe benefit, ma un investimento con alti rendimenti, sia sociali sia economici”. Così Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni italiane e professore ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica, ha commentato i dati emersi dalla XVII edizione del Rapporto Osservasalute: 585 pagine, frutto del lavoro di 238 ricercatori distribuiti su tutto il territorio nazionale.
Numeri in ribasso su tutti i fronti – Proprio quando il Paese ha dovuto affrontare la pandemia da coronavirus, mettendo in campo il “sistema salute”, non ha potuto contare sulle risorse necessarie perché negli anni i tagli sono stati pesanti e penalizzanti. Il sottofinanziamento della sanità italiana è reso evidente dai numeri: dal 2010 al 2018 la spesa sanitaria pubblica è aumentata solo dello 0,2% medio annuo, molto meno dell’incremento del Pil, che è stato dell’1,2%, mentre il numero di posti letto è diminuito di circa 33mila unità.
“L’esperienza vissuta – rileva Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio – ha dimostrato che il decentramento della sanità, oltre a mettere a rischio l’uguaglianza dei cittadini rispetto alla salute, non si è dimostrato efficace nel fronteggiare la pandemia. Le Regioni non hanno avuto le stesse performance. Di conseguenza i cittadini non hanno potuto avere le stesse garanzie di cura. Il livello territoriale dell’assistenza si è rivelato in molti casi inefficace, le strategie per il monitoraggio della crisi e dei contagi particolarmente disomogenee, spesso imprecise e tardive nel comunicare le informazioni”.
Risorse umane in ribasso – Nel 2017 il numero di medici e odontoiatri del Ssn è di 105.557 unità, con un calo dell’1,5% rispetto al 2014, quando i medici erano 107.276. Diminuiscono dell’1,7% anche gli infermieri, che passano da 269.151 nel 2014 a 264.703 nel 2017, con riduzioni più marcate in Abruzzo, Liguria, Friuli-Venezia Giulia e Molise. Il tasso di medici e odontoiatri del Ssn per 1.000 abitanti è in diminuzione, a eccezione di Trentino-Alto Adige, Puglia, Umbria e Sardegna. In particolare, in tutte le Regioni del Centro e del Sud e delle isole la riduzione del tasso di medici e odontoiatri per 1.000 abitanti risulta più marcata, e in via generale con valori superiori al dato nazionale.
Attività ospedaliera – Anche questa risulta in ribasso. Dal punto di vista dell’attività di assistenza erogata dagli ospedali il Rapporto evidenzia che il tasso standardizzato di dimissioni ospedaliere a livello italiano mostra un andamento in progressiva riduzione nel periodo 2013-2018, passando da 155,5 ricoveri su 1.000 residenti del 2013 a 132,4 su 1.000 del 2018. Nel 2018, nessuna regione italiana presenta valori oltre soglia (DM n. 70/2015 ha fissato la soglia a 160 per 1.000).
Tagli e gestione dell’emergenza Covid – Inevitabile pensare che i tagli e la regionalizzazione dei servizi abbiano avuto ripercussioni anche sulla gestione di emergenze sanitarie come l’epidemia da Covid-19, il cui tratto dominante in Italia è stato infatti di disomogeneità nella gestione dei contagiati sul territorio. Il Rapporto Osservasalute 2019, ultimato nel pieno della pandemia da Covid-19, prende in esame anche questi dati. Dall’analisi di alcuni indicatori utilizzati per il monitoraggio risulta che la pandemia ha avuto “gravità” diverse ed è stata affrontata in maniera disomogenea dalle Regioni con più contagiati (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto, Toscana, Liguria, Lazio, Marche, Campania e Puglia).
Un aspetto della “gravità” è quello legato al tasso di letalità (neumero decessi / numero contagiati). Per esempio, in Lombardia la sua dinamica raggiunge il 18% a fine marzo e inizi di aprile, e resta costante su questo livello sino al 15 giugno, mentre in Veneto cresce costantemente e raggiunge il 10% nell’ultimo periodo. Nelle altre regioni si osservano andamenti molto differenziati, che dipendono anche dallo sfasamento temporale dell’insorgenza, ma la letalità non raggiunge mai i valori della Lombardia. Emilia Romagna, Marche e Liguria sono le altre regioni con la letalità più elevata, tra il 14-16%. A cosa sono dovute queste differenze? “Non è chiara la spiegazione a questo dato – scrivono gli esperti nel Rapporto -. Le interpretazioni più verosimili la attribuiscono alla sottostima del numero di contagiati. Cioè mancherebbero alla conta i contagiati asintomatici, cosa che fa emergere anche la scarsa qualità del monitoraggio effettuato da alcune Regioni”.
Questione tamponi – Differenze evidenti anche in questo campo. Il Veneto ha effettuato il numero più alto di tamponi in rapporto alla popolazione: circa 50 ogni 100mila abitanti all’inizio del periodo, fino a punte superiori a 400 agli inizi di giugno. La Puglia è la Regione con il numero minore di tamponi effettuati: meno di 100 ogni 100mila abitanti. Colpisce la variabilità nel tempo fatta registrare da tutte le Regioni, in particolare da Veneto e Marche.
“L’esperienza Covid-19 ha acceso i riflettori sulla fragilità dei servizi sanitari regionali nel far fronte alle emergenze – sottolinea il direttore scientifico Solipaca –. In particolare ha messo in luce la necessità di riorganizzare e sostenere con maggiori risorse il ruolo del territorio, che avrebbe potuto arginare, soprattutto nella fase iniziale della pandemia, la portata dell’emergenza, evitando che questa si riversasse sulle strutture ospedaliere, impreparate ad affrontare una mole elevata di ricoveri di persone in una fase acuta dell’infezione. Un altro elemento su cui riflettere per il futuro è l’organizzazione decentrata della sanità pubblica. Le Regioni, infatti, si sono mosse in maniera molto diversa l’una dall’altra, non sempre in armonia con il Governo nazionale”.
Coperture vaccinali troppo basse – Il Rapporto Osservasalute offre dati anche sulla copertura vaccinale per l’influenza, che gli esperti considerano un tassello cruciale nella gestione di eventuali ondate di coronavirus in autunno, perché potrà contribuire a discernere tra influenza e sindrome Covid-19. Nell’intera stagione influenzale 2018-2019 il 13,61% della popolazione ha avuto una patologia simil-influenzale (Influenza-Like Illness-Ili), per una stima totale di circa 8.072.000 casi, che si sono verificati maggiormente nella popolazione di età pediatrica. Dal Rapporto emerge che la copertura vaccinale antinfluenzale nella popolazione generale si attesta, nella stagione 2018-2019, al 15,8%, con lievi differenze regionali.
Negli anziani ultra 65enni, la copertura antinfluenzale non raggiunge in nessuna regione neppure i valori considerati minimi dal Piano nazionale prevenzione vaccinale, che individua nel valore di 75% l’obiettivo minimo perseguibile e nel valore di 95% l’obiettivo ottimale negli ultra 65enni e nei gruppi a rischio. Il valore maggiore si è registrato in Basilicata (66,6%), seguita da Umbria (64,8%), Molise (61,7%) e Campania (60,3%), mentre le percentuali minori si sono registrate nella Provincia Autonoma di Bolzano (38,3%), in Valle d’Aosta (45,2%) e in Sardegna (46,5%). Anche se dal 2008 al 2019, la copertura vaccinale degli ultra 65enni, è diminuita, a livello nazionale, del 19,8%, negli ultimi due anni il valore nazionale mostra un leggero aumento (+0,8%).
Redazione Nurse Times
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