Duemila tra medici e infermieri in fuga dall’Ucraina sono pronti ad arrivare e a lavorare in Italia — dove solitamente le loro lauree e i diplomi non sono riconosciuti se non dopo una lunga procedura di riconversione —, grazie al via libera concesso dal governo con il decreto del 21 marzo.
Il provvedimento consente, fino al 4 marzo 2023, «l’esercizio temporaneo delle qualifiche professionali sanitarie e di operatore sociosanitario ai professionisti residenti in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 (giorno in cui la Russia ha dichiarato guerra, ndr) che intendano esercitare nel territorio nazionale, presso strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private».
«Le strutture sanitarie interessate possono procedere al reclutamento temporaneo di tali professionisti, muniti del Passaporto europeo delle qualifiche per i rifugiati con contratti a tempo determinato — prosegue il decreto legge — o con incarichi libero professionali, anche di collaborazione coordinata e continuativa. Le strutture forniscono poi alle Regioni e agli Ordini professionali i nominativi dei sanitari reclutati».
L’Associazione medici stranieri in Italia
La vicenda è seguita e agevolata dall’Associazione medici stranieri in Italia, il cui presidente Foad Aodi, componente della Commissione Salute globale della Fnomceo, la Federazione degli Ordini dei Medici, rivela: «La maggioranza delle richieste per i professionisti ucraini arrivano da strutture di Puglia, Calabria, Sicilia e Veneto, pronto ad assumerne 250, soprattutto infermieri per le case di riposo ma anche per i Pronto Soccorso e gli ambulatori, pubblici e privati. Il contingente dei duemila sanitari è composto per il 95% da donne, poiché gli uomini dai 18 ai 60 anni non possono lasciare l’Ucraina (sono chiamati alle armi, ndr). Insieme a loro c’è un buon numero di psicologi.
Molti, tra ospedali, Rsa e ambulatori, si stanno adoperando per la verifica dei documenti e dei titoli di studio e per organizzare corsi intensivi di italiano. Abbiamo chiesto al governo italiano di far lavorare pure i sanitari russi che scappano dal loro Paese — aggiunge Foad Aodi —. Sarebbe un bel segnale di pace, anche perché quelli già qui vengono discriminati da colleghi e pazienti».
Ecco, in tema di discriminazioni, ma stavolta a scapito dei sanitari italiani sospesi da lavoro e stipendio perché no vax, gli ucraini dovranno assumere l’anti-Covid, se non l’hanno già fatto in patria. Dove però solo il 26% della popolazione è immunizzata.
«E’ scontato che i sanitari ucraini debbano essere vaccinati contro il Covid per lavorare — ha spazzato via i dubbi Andrea Costa, sottosegretario alla Salute —. Lo status di rifugiato impone loro l’obbligo di rispetto della legge italiana». «Nessuna polemica — conferma il ministro della Salute, Roberto Speranza — se arrivano professionalità di qualità, è giusto metterle al servizio della popolazione».
L’apporto del personale
Anche nell’ottica di una sorta di «do ut des». Nonostante i numeri siano ancora molto contenuti, il personale sanitario in fuga dalla guerra potrebbe contribuire a ridurre la cronica situazione nazionale di sottorganico. «Si può migliorare la prospettiva di vita dei colleghi ucraini e nello stesso tempo rispondere, anche se in piccola parte, alla carenza dei nostri operatori», conviene l’Anaao Assomed, sigla degli ospedalieri.
«In questa catastrofe umanitaria ognuno deve fare la propria parte — dichiara Giovanni Leoni, chirurgo, presidente dell’Ordine dei medici di Venezia e vice nazionale — è inutile parlare di solidarietà se poi non la si concretizza. Sono pronto a lavorare con i camici bianchi ucraini, sarà un scambio professionale e culturale. Quanto al vaccino, per poter esercitare professioni mediche e sanitarie in Italia si deve assumerlo». Il primo ad accogliere due infermiere ucraine, per una sua struttura di Jesolo, è Roberto Volpe, presidente Uripa (Unione regionale degli istituti per anziani): «Piena disponibilità, li accogliamo a braccia aperte, ma non si pensi che il percorso di inserimento sia una passeggiata.
La burocrazia per mettere a posto i documenti è lunga, così come l’iter di apprendimento della lingua italiana e della nostra realtà lavorativa. Spero che dopo tutta questa fatica gli operatori ucraini restino qui, potrebbero anche aiutare a soccorrere e a vaccinare i loro connazionali».
Redazione Nurse Times
Fonte: Corriere del Veneto
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