Stando a quanto riportato da Business Insider, la Regione avrebbe fatto male i conti.
Dovrebbero vaccinare la popolazione contro l’influenza stagionale, ma molto probabilmente loro stessi, malgrado le raccomandazioni del ministero della Salute non saranno vaccinati. Perché mancano le dosi di vaccino. È il paradosso che stanno vivendo gli operatori delle strutture sanitarie private accreditate della Lombardia, per i quali non sono state previste dosi di vaccino antinfluenzale dalla Regione, a differenza di quanto avvenuto negli ultimi anni.
Il 17 agosto scorso Regione Lombardia ha infatti inoltrato a tutti i direttori generali delle Ats e Asst del territorio la circolare “Indicazioni per la campagna vaccinale antinfluenzale 2020-2021”, con le istruzioni per la campagna di vaccinazione degli operatori sanitari. Nella parte riguardante la vaccinazione dei sanitari delle strutture accreditate, la circolare recitava: “Al momento non è prevista la fornitura di vaccino da parte del Ssn, ma le aziende devono provvedere autonomamente”.
Una novità (allarmante), visto che, fino agli anni scorsi, il Pirellone aveva sempre rifornito gratuitamente il vaccino anche ai privati. Un’inversione di rotta, oltretutto, comunicata in netto ritardo, cioè a soli due mesi dall’inizio della campagna vaccinale, che ha messo in grave difficoltà le strutture accreditate, in quanto la disponibilità di vaccini sul mercato, stante la crisi sanitaria in atto a livello mondiale, oggi è limitatissima.
Una scarsità dovuta alla competizione: i lotti vaccinali prodotti dalle aziende italiane autorizzate da Aifa, le uniche presso le quali era consentito approvvigionarsi fino a una settimana fa, sono stati in gran parte opzionati dalle Regioni per le proprie campagne (già al via, a differenza della Lombardia, in pesante ritardo). Così la disponibilità per il mercato risulta limitata, tanto che Federfarma ha denunciato il rischio che diventi impraticabile anche la campagna di vaccinazioni per i soggetti non fragili, attraverso la rete delle farmacie.
Per correre ai ripari l’Aifa, il 25 settembre, aveva autorizzato l’acquisto di vaccini anche da aziende estere, ma la crisi sanitaria globale ha fatto schizzare i prezzi alle stelle. Così una dose che normalmente costava 5 euro, ora tocca i 28 euro (prezzo del vaccino indiano). Inoltre i tempi di consegna si sono dilatati a dismisura. Morale? I privati non riescono ad approvvigionarsi per il loro personale e, quindi, si rischia la paralisi del sistema sanitario privato, che in Lombardia copre il 40% delle prestazioni. Non solo, con il numero dei contagi in rapido aumento, avere sanitari non vaccinati che, a loro volta, non possono vaccinare la popolazione – nonostante la stessa circolare di agosto del Pirellone preveda che un ruolo primario della sanità privata nella campagna vaccinale – non fa altro che “aiutare” il coronavirus.
Per capire la gravità dela situazione basta ricordare lo studio del Centro Cardiologico Monzino di Milano, pubblicato sulla rivista Vaccines, secondo il quale durante il lockdown nelle regioni con un più alto tasso di copertura vaccinale tra gli over 65enni, ci sono stati meno contagi, meno pazienti ricoverati con sintomi, meno ricoverati in terapia intensiva e meno morti per Covid-19. Lo studio stima che un aumento dell’1% della copertura vaccinale negli over 65, avrebbe potuto evitare 78.560 contagi. Senza dimenticare poi che la Lombardia è la regione nella quale si sono contati 12mila sanitari infettati da coronavirus, con 76 deceduti.
A sollevare la questione, il consigliere regionale Michele Usuelli, che martedì presenterà una mozione ad hoc in consiglio regionale per far tornare l’assessore Giulio Gallera sui suoi passi: «Regione Lombardia non può fregarsene dei suoi operatori sanitari solo perché lavorano nel privato accreditato, rischiando per la seconda volta di far diventare gli ospedali lombardi luoghi di contagio oltre che di cura. Davvero altre sono le partite in cui Regione deve mostrare discontinuità rispetto alla sudditanza verso la sanità privata. Fontana e Gallera dimostrano per l’ennesima volta di con capire e non saper gestire la delicatezza e complessità dell’incarico che hanno ricevuto dai cittadini».
Sanitari privati a parte, è l’intero programma vaccinale organizzato da Regione Lombardia ad avere più di un problema, come sottolineato dalla Fondazione Gimbe, secondo la quale il Pirellone si sarebbe aggiudicato un numero di dosi di vaccini inferiore rispetto alla popolazione fragile, cioè bambini fino ai 6 anni e anziani oltre i 65, che sarebbero coperti solo al 66,3%.
Un’accusa rimandata al mittente dall’assessore Gallera, che ha risposto a muso duro: «Non è così. Noi abbiamo acquistato 2,5 milioni di dosi di vaccino, che rappresentano l’80% in più di quelle dell’anno scorso. A livello nazionale sono 17 milioni, quindi il 15% delle dosi di tutte le Regioni è stato acquistato dalla Lombardia. Queste ci consentiranno di coprire sulle quote target, che sono almeno il 75%, sia i fragili sia gli operatori sanitari, sia i bambini. L’obiettivo è il 75%, fissato dal ministero. Per gli operatori sanitari abbiamo previsto nei nostri calcoli il raggiungimento del 90%. Parliamo di coloro che lavorano negli ospedali pubblici, se ne dovessero avanzare li metteremo a disposizione di altre categorie e sul mercato. Però ciò che abbiamo acquistato coprirà le nostre fasce target».
Morale della favola: niente vaccino per chi lavora nel privato. Probabilmente, secondo Gallera, anche loro sono «cittadini ordinari». Quelli, cioè, per i quali la Regione non è competente, perché del «tema del libero mercato (dei vaccini, ndr) si deve occupare il Governo in una strategia nazionale».
Redazione Nurse Times
Fonte: Business Insider
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