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Il grande bluff dei CdL in Infermieristica: università origine di ogni male della professione

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Le università sono l’origine di ogni male che affligge la professione infermieristica
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La professione infermieristica continua ad arrancare in una lenta agonia che sembra non avere fine. Ma chi sarebbe il responsabile di tutto ciò?

Chi insegna negli attuali corsi di laurea è tra i principali colpevoli della catastrofica situazione nella quale riversa la professione infermieristica, vittima ormai inconsapevole di demansionamento istituzionalizzato.

È per me impossibile pensare alla buona fede di qualche pseudo-docente, riciclato da chissà quale ufficio e senza alcun titolo per insegnare.

Per anni mi sono chiesto per quale motivo, nonostante il chiaro indirizzo assunto dal legislatore nei confronti della professione infermieristica, si continuino ad insegnare mansioni tipiche di una cameriera.

Ormai siamo considerati professionisti intellettuale alla pari di un medico, un avvocato o un ingegnere, ma, nonostante ciò, verrebbero ancora insegnate le più imbarazzanti mansioni domestico-alberghiere nelle sedi universitarie.

In programmi didattici degni del miglior corso da badante, vengono elargiti crediti formativi universitari, insegnando agli studenti come cambiare la federa del cuscino, come distribuire il pranzo o come tagliare le unghie dei piedi di un paziente.

E che nessuno provi più a dirmi che queste siano competenze infermieristiche, che sia necessario saperle fare per poter controllare il personale di supporto (figura mitologica in molte realtà) o che tali insegnamenti possano essere utili per valutare la cute del paziente o a stabilire con esso una relazione empatica.

È evidente a tutti che queste siano solo un mucchio di fesserie!

Occorre un vero e proprio ammutinamento nei confronti di queste persone in evidente malafede. Invito ogni studente a smettere di pagare migliaia di euro in tasse universitarie per subire un lavaggio del cervello e per diventare il factotum non pensante che ogni responsabile del personale sognerebbe.

È evidente a tutti come la formazione di nuovi infermieri sia solo il meccanismo per mantenere funzionante il carrozzone universitario che genera milioni di euro ogni anno. Centinaia di persone speculano su ogni singolo studente, vendendogli libri, quaderni, divise, fonendoscopi, calzature e molto altro ancora.

Per non parlare delle aziende ospedaliere che ottengono manovalanza a costo zero, preparata dal complice “Università” per svolgere le mansioni che neanche una sguattera pagata a peso d’oro vorrebbe fare.

Ed ecco che orde di giovani indottrinati si apprestano a debuttare nei reparti, blaterando frasi sconclusionate, ormai diventate tormentoni quali: “Il giro letti serve a valutare la cute” oppure “l’infermiere deve essere umile”.

Così, i tirocinanti, vengono mandati allo sbaraglio senza alcun tutor formato disponibile ad affiancarli o peggio ancora affidati all’operatore sociosanitario.

Gli obiettivi che i docenti stabiliscono per i tirocinanti sono a dir poco imbarazzanti, per non dire vergognosi, praticamente in ogni sede italiana.

Non posso credere che dopo circa vent’anni dall’istituzione di un corso di laurea, questi personaggi non siano ancora riusciti ad aggiornarsi.

Sono fermamente convinto che abbiano interessi diretti nel mantenere la professione con un profilo che risultati il più basso possibile.

Praticamente nessuno insegna i diritti ed i doveri riconosciuti dalle leggi italiane ai futuri professionisti, appositamente per avere laureati ignoranti e pronti ad accettare qualsiasi cosa. Nessuno illustra loro le tipologie di contratto o cosa fare per evitare di essere sfruttati e demansionati (addirittura più che durante il tirocinio didattico).

Tutto ciò crea un incredibile circolo vizioso: i limiti della professione infatti, dopo l’abolizione del mansionario, sono dettati anche dalla formazione di base, ovvero dagli insegnamenti inseriti nel percorso di studi triennale.

Pertanto se qualche “professore” improvvisato decidesse di insegnare agli studenti come lavare padelle e pitali (vedi università di Bari) o come rifare i letti liberi o pulire la stanza di degenza dopo la dimissione del paziente, cosa vieterebbe ad un giudice di interpretare questo insegnamento considerandolo come fondamento della professione?

Ma molto più semplicisticamente, come si può far capire alle molte giovani menti che nessuna delle mansioni insegnate sarà di loro competenza?

Le scemenze che riecheggiano dalla notte dei tempi secondo le quali sarebbe necessario sapere come smaltire i rifiuti per controllare il lavoro dell’Oss e molto altro ancora, non sembrano proprio più reggere.

Così come molti giovani si starebbero accorgendo che le strampalate stime divulgate sui giornali, secondo le quali mancherebbero decine di migliaia di infermieri in Italia sarebbero piuttosto tendenziose, poiché nessuno avrebbe intenzione di assumerli.

Pertanto, per poter evolvere ulteriormente, sarebbe necessario rifondare il sistema scolastico e l’organizzazione di centinaia di aziende ospedaliere italiane.

Dato che ciò rappresenta un’utopia, possiamo solo cercare di evitare che la professione sprofondi ulteriormente.

Simone Gussoni

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