Questo è quanto riportato su una vignetta che gira sui social, una parodia della Prima Lettera ai Corinzi di S. Paolo, intitolata “Un Grande Infermiere”. Ma non sarebbe meglio parlare di competenze?
Amare la propria professione, qualunque essa sia, è, a mio avviso, una cosa meravigliosa, da cui si può trarre la motivazione per svolgerla sempre al meglio, nel rispetto della deontologia e spinti verso un continuo desiderio di miglioramento delle proprie competenze e della performance.
Tuttavia, è capitato di imbattermi in una vignetta che non è nient’altro che una storpiatura dell’inno all’Amore, scritto da San Paolo. Il contenuto, pregno di sentimentalismi sembra, invero, fornire un’immagine alquanto distorta del Professionista Infermiere. Il testo recita quanto segue:
“Se conoscessi tutte le terapie
e non ho AMORE
a nulla serve
Se avessi intuito
Infallibile sul malati,
se avessi la scienza del primario,
ma non ho l’AMORE non sono niente.
Se dessi tutto il mio tempo al reparto
anche i turni di riposo e le ferie,
ma non ho l’AMORE,
non farei nulla
L’Amore è paziente.
quando i campanelli suonano,
i medici sbuffano,
i pazienti importunano.
L’Amore non è geloso:
Quando l’altro collega è più considerato di me
più atteso
e tu non lo sei,
quando è nelle grazie dei medici
e tu non lo sei.
L’Amore non si adira:
quando i nervi sono a pezzi,
tutto va a rovescio
e i malati rispondono male l’AMORE tutto copre:
anche l’ingratitudine di un malato. L’AMORE tutto spera:
anche se nessuno si accorge della tua fatica l’AMORE tutto sopporta:
anche il servizio più ripugnante
o il disprezzo di quelli che ti comandano.
Le corse di un infermiere avranno fine. ma l’AMORE non avrè mai fine.
Tre cose sono grandi di un infermiere: la resistenza, la competenza l’AMORE.
Ma più grande di ogni cosa
E sempre l’AMORE,
Tralasciando gli aspetti grammaticali, che beneficio portano propagande simili alla professione?
Si celebra l’amore (verso chi o cosa, però non è dato saperlo) al di sopra della competenza e scienza, si parla di medici che sbuffano, di “essere nelle grazie dei medici” o di essere “più considerati”, di pazienti che “importunano” e di “malati ingrati”, di cedere riposi e ferie (ma con amore, altrimenti non sei niente).
In un periodo in cui si cerca il riconoscimento delle competenze infermieristiche è opportuno parlare in questi termini di AMORE, o cominciare a parlare come dei veri professionisti, che amano davvero la propria professione?
Fabio Fedeli
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