Le complicanze metaboliche dell’iperglicemia possono dare manifestazione di chetoacidosi o coma iperosmolare
Un lavoro del 2016 pubblicato su Annals of Emergency Medicine tratta di uno studio retrospettivo che ha arruolato pazienti maggiorenni nei quali è stata registrata, in qualsiasi momento dell’accesso nel Dipartimento di Emergenza, una glicemia superiore a 400 mg/dl.
Sono stati reclutati 422 pazienti cui corrispondevano 566 accessi di PS.
La popolazione dello studio era costituita per il 58% da uomini e l’età media pari a 47 anni.
Per meglio identificare i pazienti con glicemia “isolata”(ovverossia “non diabetici” ad esempio) sono stati esclusi:
- i pazienti ricoverati in ospedale;
- i pazienti con diabete di tipo 1 (per evitare di arruolare pazienti con chetoacidosi diabetica);
- quelli che accedevano in Pronto Soccorso per ipoglicemia.
Gli outcome più interessanti erano:
- rientro in PS per iperglicemia;
- ricovero ospedaliero per qualsiasi motivo, entrambe nei 7 giorni successivi l’accesso considerato.
La glicemia media all’arrivo era pari a 491 mg/dl, quella alla dimissione 334 mg/dl, con una riduzione media di 157 mg/dl. In breve, i risultati erano:
- A sette giorni, la prevalenza di rientri per iperglicemia era pari al 13% e di ricovero per qualsiasi motivo del 7%;
- la glicemia alla dimissione era sovrapponibile tra i pazienti che andavano incontro a uno dei due eventi avversi considerati (317 mg/dl) e quelli con follow up negativo (336 mg/dl);
- la glicemia all’arrivo, quella alla dimissione, la quantità di liquidi e il numero di unità di insulina somministrate non si correlano con il rischio di sviluppare eventi avversi a 7 giorni;
- i pazienti con glicemia superiore a 350 mg/dl alla dimissione non presentavano una maggiore tasso di eventi avversi.
I risultati di questo studio necessitano di ulteriori conferme poiché, sebbene siano state condotte raffinate indagini statistiche, sono pur sempre frutto di un lavoro retrospettivo.
Perseguire eccessivamente il tentativo di correggere un’iperglicemia (asintomatica o meno!) non ha un effetto rilevante sul potenziale rischio di ricoveri futuri. Il gold standard nel trattamento è la somminstrazione di insulina.
Ma…..un’altra opzione è l’idratazione.
Questa misura terapeutica è relativamente economica, con poche controindicazioni il cui vero limite può essere la necessità di posizionamento di un accesso venoso.
Un trial prospettico, randomizzato, controllato, non in cieco, in cui è stata confrontata l’efficacia di due strategie per la somministrazione di liquidi, una endovenosa e l’altra orale, per la riduzione dei valori di glicemia.
Sono stati dunque arruolati 48 pazienti, con glicemia in triage > 250 mg/dl.
Le caratteristiche cliniche-demografiche erano sovrapponibili tra i due gruppi così come la glicemia iniziale (360 mg/dl).
La quantità di liquidi somministrata, nell’arco di 2 ore, era pari a 2 L in entrambe i gruppi.
La glicemia si è ridotta di 61,2 mg/dl nei pazienti idratati per os e di 72 mg/dl in quelli per i quali è stata utilizzata la via endovenosa, con una differenza tra i due gruppi non statisticamente significativa (Arora 2013).
Dunque l’impatto clinico dell’idratazione è modesto e viene ugualmente raggiunto, a prescindere dalla via di somministrazione adottata, sebbene abbia delle criticità (ad esempio il pz disposto a bere circa 2 litri di acqua in due ore).
In conclusione l’insulina sottocute è efficace nel ridurre i valori glicemici, mentre l’idratazione di per sé ha un impatto modesto, del tutto sovrapponibile a prescindere dalla via di somministrazione.
CALABRESE Michele
Fonte:
www.empillsblog.com
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