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Infermieri “responsabili e autonomi”, ma solo se c’è da dare!

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Francesco Falli
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Schizofrenia: ”I sintomi più comuni includono allucinazioni uditive, deliri paranoidei e pensieri o discorsi disorganizzati. È accompagnata da un significativo deficit nella vita sociale e professionale”. (da Wikipedia.it, visitato il 15.4.2015).

Parto dalla definizione di una seria patologia per definire il senso di questo contributo, che offro attraverso gli amici di Nursetimes al dibattito aperto sull’essere Infermiere oggi, in particolare osservando le ”disorganizzate” reazioni che si stanno inseguendo da una latitudine all’altra del Paese.

Per alcuni, in realtà, le reazioni alla crescita delle competenze (e del riconoscimento) professionale non sono proprio disorganizzate, ma si inseriscono in un ben calibrato piano di ”attacco” che ha mandanti ed esecutori piuttosto chiari, in quanto le contestazioni alla crescita del ruolo, o la minaccia di ricorsi alle vie legali, provengono da sigle chiare, riconosciute, esposte alla cronaca: e questo, come dire, va riconosciuto al…nemico, che non si nasconde.

L’ultima di molte altre osservazioni di natura legale arriva dal Lazio: nella stessa Regione dove il TAR ha respinto, a inizio aprile, il ricorso del sindacato medico CIMO regionale alla creazione delle UDI (unità a degenza infermieristica), arriva la sollevazione dell’Ordine dei Medici della capitale, contro l’ambulatorio “See&Treat”, attivato presso il Presidio Sanitario Integrato Santa Caterina della Rosa, nel Distretto Sanitario 6 dell’ASL-RMC, dedicato alle urgenze minori e gestito soltanto da professionalità infermieristiche.

Ai più attenti lettori, a coloro che amano conservare le buone e belle notizie, resta sempre in mente cosa – invece – ebbe a dire il Presidente della Federazione toscana dell’ordine dei Medici, dottor Panti, in merito alla attuazione del see and treat, modalità innovativa di gestioni di alcuni casi codificati, a cura di Infermieri esperti e formati allo scopo (nella regione di Dante l’attuazione di questa modalità risale, in alcune realtà, al 2007):

”………Riconferma il proprio sostegno al progetto il presidente della Federazione regionale degli ordini della Toscana, Antonio Panti, che avvalora le anticipazioni dell’assessore sui buoni risultati della sperimentazione. «E’ vero» spiega «come scrivo in un articolo che apparirà sul prossimo numero di Toscana Medica (il bollettino regionale della Federazione, ndr) i dati raccolti spiegano perché la Regione ha deciso di allargare il progetto. In particolare, si è registrato un tasso bassissimo di reingressi e un’elevata soddisfazione dell’utenza. Ripeto quello che ho già detto in passato: affidare al personale infermieristico competenze complesse è l’unica strada per consentire ai medici di dedicarsi ad attività ancora più complesse e professionalmente significative….” (intervento del 6.9.2011, cfr doctor33.it)

 E’ vero che all’interno della stessa Federazione toscana non tutti erano d’accordo con questa posizione: ma già questo approccio differente configura e conferma come sia difficile riuscire, in Italia, ad avere posizioni serene e comuni sulle questioni anche molto delicate, come quella  del modo di accogliere in ospedale gli utenti (e dunque, per necessità: attraverso i pronto soccorsi, sempre intasati!).

Questo è uno dei chiari sintomi di schizofrenia, perchè il see and treat non può essere benedetto a Firenze e demonizzato a Roma….quando sarebbe invece importante copiare da dove funziona, e quando non si è all’altezza di governare il problema si dovrebbe procedere alla sostituzione di coloro che nei fatti oppongono all’innovazione – che – funziona assurde resistenze ideologiche o di casta.
Dedichiamo poche righe, allora, al problema dei pronto soccorsi, in modo molto sereno…

Ogni tanto, alcuni esperti del tutto estranei alle vicende professionali, più spesso politici, si alzano e progettano ”….l’incremento del ticket al pronto soccorso per scoraggiare gli accessi.”

Se è vero che è più che giusto far pagare chi intasa i servizi per banali sintomatologie, va ricordato che assegnare un ticket ed un codice colore di bassa gravità comporta una evidenza: comunque, la persona si è già recata al pronto soccorso; e ha partecipato al suo ”affollamento ” (od overcrowding)…perchè allora non esaltare quelle strategie alternative che altrove hanno abbassato i numeri di accesso?

Strategie che guarda caso vedono protagonista un Infermiere esperto, specialista, preparato, competente.

Vedi il see and treat (si può essere d’accordo o meno sul ruolo dell’Infermiere, ma l’utenza è soddisfatta e i tempi di attesa ridotti, e questo lo deve accettare anche chi ha altre opinioni sul ruolo infermieristico, credo!); vedi l’esperienza friulana dell’Infermiere di comunità, che ha consentito ai due presidi ospedalieri di Palmanova e Latisana di contrarre del 18,9% il numero degli accessi…sono le dichiarazioni dell’allora Presidente della Regione Tondo, riprese da Il Piccolo , quotidiano triestino.

Insomma, sto cercando di dire che la crescita, la affermazione riconosciuta, la consapevolezza di un ruolo chiave dell’Infermiere nel sistema sanitario italiano (non ce la faccio a scrivere ”sistema sanitario nazionale”, perchè ne esistono di molti, e di molto differenti l’uno dagli altri, con regole diverse da caso a caso, e ciò dovrebbe far indignare un Paese ”normale”) ecco, questa crescita aiuterebbe lo stesso sistema a migliorare.

Io non ne faccio una questione di potere. Non m’interessa. Credo invece che dovremmo allinearci all’eccellenza, a quegli standard dati, incluso il confronto con Paesi europei come la Spagna, dove si sta introducendo un quarto anno formativo al fine di far prescrivere farmaci all’Infermiere.

E poi credo che la figura dell’Infermiere vive davvero una forte crisi d’identità, dove la crescita della normativa (che oggi è sicuramente importante e gli assegna ruoli netti, come quello di ”responsabile dell’assitenza generale infermieristica”, cfr DM 739/1994) non si accompagna ancora a una affermazione nei fatti, ma più spesso di solo principio.

Se posso avanzare una modesta analisi, la responsabilità è di molti, inclusi noi Infermieri, noi Infermieri di base e noi Infermieri chiamati a sostenere ruoli nei Collegi, nei sindacati, nelle associazioni: ma certamente di più e meglio hanno saputo fare coloro che hanno remato contro; quelli che volevano un esecutore comunque sottomesso e sottoposto, e non sempre e non solo sono state le sigle e gli ordini medici – peraltro non tutti – a rimarcare abissi di riconoscimento.

Vorrei chiudere con due osservazioni che spero di trasmettere nel migliore dei modi: come ricorda la benedetta (per me, lo dico senza tema di confronti) Legge 43/2006, già oggi i professionisti sanitari italiani sono collocati nel ruolo dello ”specialista”: cioè coloro che hanno acquisito un master di 1° livello con competenza specialistiche, appunto.

Quindi, il comma 566 della Legge di stabilità ben giunge, ma pone tutto sommato poca materia nuova, se non l’urgenza di dare un senso, fossero anche ad esempio 20 euro al mese – ma cominciamo da lì!… – allo specializzato…(certo, so bene che i contratti sono bloccati…ma vorrei che sul tavolo tecnico del primo rinnovo ci fosse la applicazione di questo DOVUTO).

Di questo comma e di questa Legge, che paradossalmente tentano nel 2015 di inseguire la figura, storica benchè rara, dell’Infermiere professionale specializzato (cfr DPR 225/1974, o ”mansionario”, che lo prevedeva, col suo bravo elenco di attività….!…e parliamo di 41 anni fa…)  io vorrei sommessamente spiegare al Medico e alle sue associazioni – che difendono il fortino – una cosa su tutte: ma se l’Infermiere ha un riconoscimento normativo su competenze che già possiede, e su attività che già fa, ma a te, personalmente, che cosa va a sottrarre?

E ancora: come possiamo continuare a negare responsabilità e sviluppo ad una categoria che, ad ogni azione di rivalsa verso le strutture sanitarie, viene regolarmente compresa e coinvolta, quando il problema comprende la sfera assistenziale (come è giusto che sia, se evidentemente ci sono responsabilità professionali)?

Personalmente, anche nel ruolo di CTU, ho ascoltato come in un’aula di giustizia la responsabilità della norma pone l’Infermiere su un piano che sarebbe semplicemente meraviglioso incontrare – lì trasposto – nella nostra operatività quotidiana.

Perchè lì, in Tribunale, il percorso di crescita delle responsabilità (e del loro riconoscimento)  è completato, più che completo, è totale: sei un professionista sanitario, punto e basta.

E lo sei non solo se, e quando, un malato ti è caduto (magari mentre eri a erogare assistenza nella stanza a fianco), o se un codice colore al triage è ambiguamente ragionato, ma anche quando l’anestesista ha posizionato male il tubo endotracheale ed il suo legale (al fine di alleggerire responsabilità e rimborsi del signor Medico) si domanda e ci domanda perchè l’Infermiere non se ne è accorto subito….

E allora, delle due l’una: o ci siete, o lo fate. Ma chiamate le cose col loro nome, ora basta.

E sperate che la categoria prosegua nella sua disunione, che è il suo male più grande, e purtroppo più attuale che mai.

Io, comunque, nel mio piccolo continuerò per sempre a battermi come posso, ad ogni occasione, per ricordare che Infermiere, fra le altre cose, va scritto con la I maisucola.

Un grande saluto.

Francesco Falli, La Spezia

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