Un promotore del triage infermieristico in Italia, oggi consigliere dell’Academy of Emergency Medicine and Care, smonta la tesi del sindacato medico.
Infermieri e triage: un connubio vincente e ormai consolidato, reso ancor più legittimo dal recente adeguamento normativo, che attribuisce alla nostra professione maggiori responsabilità rispetto al passato. Eppure, c’è chi non si rassegna a riconoscerlo, questo connubio, attestandosi su posizioni di retroguardia superate da tempo. Per informazioni, chiedere ai medici del sindacato CoAS, che sulla centralità della loro figura professionale all’atto dell’accettazione in pronto soccorso hanno impostato un’autentica crociata.
Si tratta, in realtà, di una campagna che trova pochi sostenitori nella stessa comunità dei seguaci di Ippocrate. E noi di Nurse Times ne abbiamo ricevuto conferma grazie alla piacevole chiacchierata col dottor Ivo Casagranda, un pioniere del triage infermieristico in Italia, già componente del gruppo ministeriale che ha dato vita alle nuove Linee guida su triage e Obi, oggi consigliere dell’Academy of Emergency Medicine and Care (AcEMC), da lui fondata e presieduta, nonché professore a contratto dell’Università di Pavia. Al suo attivo, anche la fondazione/direzione della rivista Emergency Cure Journal, che aggiunge la qualifica di comunicatore a quelle di formatore scientifico e di esperto nell’organizzazione e nell’innovazione in medicina d’urgenza. Insomma, una vera autorità in materia.
«Il Pronto soccorso di Rovereto, da me diretto per tre anni e mezzo a partire dal 1994, è stato il primo, con quello di Reggio Emilia, a inserire gli infermieri nell’area triage – racconta l’ex primario –. Un’esperienza ripetuta con successo al Dea di Alessandria, che ho guidato per i successivi vent’anni. All’epoca si trattò di un cambiamento epocale, accolto con favore anche dai media. Ricordo, in particolare, l’intervista telefonica rilasciata al giornalista di una radio milanese, che alla fine mi salutò con un auspicio da me molto gradito: “Speriamo che il triage infermieristico prenda piede anche a Milano”».
Dalla svolta degli anni Novanta alla prassi attuale il passo è stato breve. «Direi proprio di sì – conferma Casagranda –. Il triage infermieristico è da tempo una realtà negli ospedali italiani e non solo. Io feci questa scelta all’età di quarant’anni, avendo capito che gli infermieri erano pronti. Le loro competenze, frutto di una formazione accurata, erano elevate allora e continuano ad affinarsi oggi. Sono competenze verificabili sul campo e non vedo motivi validi per contestarle».
Non è dello stesso avviso il CoAS. Prendendo spunto da due recenti sentenze della Corte di Cassazione, il sindacato medico ha sferrato l’ennesimo attacco alla normativa che valorizza gli infermieri triagisti. L’esperto si dichiara stupito: «Fatico a comprendere perché alcuni colleghi vadano nella direzione opposta. Credo che certe posizioni conservatrici denotino una conoscenza poco approfondita dell’argomento. Dal pronto soccorso di qualsiasi ospedale passano svariate migliaia di persone ogni anno. Gli errori di valutazione possono capitare, all’infermiere come al medico, ma sono statisticamente pochi in rapporto all’enorme flusso di pazienti. Personalmente, non conoscevo il CoAS, ma prendo sempre in considerazione tutti i punti di vista che possano contribuire a un dibattito costruttivo. In questo caso, però, si corre solo il rischio di generare facili allarmismi».
Allarmismi di cui un sistema sanitario già gravato da molti problemi dovrebbe invece fare a meno. «Esatto – conclude Casagranda –. Da medico, ritengo che le posizioni in grado di alimentare contrasti interprofessionali, producendo ulteriore sfiducia nel sistema, non giovino a nessuno. I diversi operatori sanitari hanno bisogno di collaborare tra loro. E la collaborazione, quando si parla di pronto soccorso, si realizza anche attraverso il rispetto dei ruoli e la conseguente divisione dei compiti: agli infermieri la gestione del triage; ai medici la fase successiva, ossia diagnosi e cura».
Redazione Nurse Times
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