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Gli infermieri ai tempi del Coronavirus:«Adesso ci chiamano eroi, ma si dimenticheranno di noi dopo l’emergenza»

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L’infermieristica ai tempi del Coronavirus:«Adesso ci chiamano eroi, ma si dimenticheranno di noi dopo l’emergenza»
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MODENA. «Adesso ci chiamano eroi, ma tanti si dimenticheranno di noi quando sarà terminata l’emergenza».

Queste sono le parole di un infermiere in servizio presso un pronto soccorso del Modenese pubblicate dalla Gazzetta di Mantova. In un’intervista anonima ha voluto raccontare la professione infermieristica ai tempi del Coronavirus.

Perché dice che si “dimenticheranno di noi”?

«Nel nostro Paese la figura infermieristica viene vista in modo del tutto diverso rispetto, ad esempio, ai Paesi anglosassoni: sia dal punto di vista retributivo sia per la percezione della gente. In Italia siamo molto indietro. Io ci tengo a dire, però, che noi siamo sempre in prima linea tutto l’anno: soprattutto chi lavora in pronto soccorso o negli equipaggi del 118. Possiamo trattare pazienti con meningite o tubercolosi o malattie trasmissibili con il sangue. Siamo il filtro dell’ospedale, non solo ora, ma sempre. Quindi spero che finito tutto questo, la gente si ricordi di noi oltre il Coronavirus».

Ha paura in questo periodo per lei o per i suoi cari?

«No. Sia io che i miei colleghi – e intendo tutta l’equipe sanitaria – viviamo la cosa in modo razionale, basandoci sulle evidenze scientifiche. Certo c’è preoccupazione e la combattiamo cercando di tutelare noi stessi e gli altri: io, ad esempio, ho ridotto i contatti con le persone fragili della mia famiglia. Non voglio rischiare, perché è possibile avere avuto contatti con contagi usciti dalle maglie della sorveglianza sanitaria, anche se l’attenzione è altissima ed è un’eventualità remota».

È cambiata la quotidianità nel pronto soccorso?

«Certo. Prima di tutto perché i pazienti che hanno sintomi sospetti vengono trattati secondo un protocollo preciso che può portare al tampone. Poi gli orari: alcune persone si ritrovano a fare turni più serrati. E soprattutto è cambiato mentalmente: mentre prima una banale febbre o una polmonite erano patologie “da tutti i giorni” adesso dentro ti scatta un campanello d’allarme, che poi mandi via con il buon senso».

Il sistema sanitario italiano era pronto?

«La nostra sanità è una delle migliori al mondo nonostante i tagli degli ultimi decenni. Primo perché è gratuito, secondo per i grandi professionisti che vi lavorano. Ciò detto, non siamo completamente pronti perché di fronte abbiamo un nemico piccolo, subdolo, ancora poco conosciuto e che è sbucato all’improvviso: ma come non siamo pronti noi non lo è nemmeno il resto del mondo. Tuttavia i cittadini devono fidarsi, anche per le buone scelte fatte dai vertici sanitari e dalla politica. Andando nello specifico della struttura in cui io lavoro ogni giorno miglioriamo e affiniamo le procedure relative al virus».

C’è stata una sovraesposizione mediatica?

«Sì, specialmente nei primi giorni. Però lo capisco, perché parliamo di un tema che spaventa e che pensavamo fosse lontano da noi. Con il passare dei giorni la comunicazione delle notizie è migliorata, almeno per gli organi di stampa principale, mentre sui social network vedo ancora tanti, chiamamole fonti di informazioni alternative, che postano notizie incomplete o false. Seminare il panico non serve a nulla, anzi dà effetti collaterali pericolosi come la fuga dalle zone rosse. Vorrei che i cittadini si tranquillizzassero, seguendo le indicazioni delle autorità e dei loro medici. Nessuno nasconde nulla a nessuno e i numeri ci stanno dando ragione su virulenza e mortalità» —


Dott. Simone Gussoni

Fonte: Gazzetta di Mantova

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