Riceviamo e pubblichiamo un comunicato della Federazione.
Nel futuro dell’assistenza territoriale c’è l’infermiere di famiglia. Fuori dagli ospedali le strutture residenziali che forniscono long term care erogano un mix di servizi sanitari e sociali; i servizi sanitari sono sostanzialmente di tipo infermieristico, in combinazione con i servizi di assistenza personale. Le cure mediche sono molto meno intensive di quelle fornite negli ospedali.
Anche nelle Rsa, dove il livello di autosufficienza delle persone ricoverate è maggiore, l’assistenza è più di tipo infermieristico, al contrario delle lungodegenze ospedaliere dove c’è assistenza medica 24 ore su 24, oltre che assistenza infermieristica, prestazioni riabilitative, consulenze specialistiche, assistenza alberghiera e cura della persona.
Il quadro lo disegna il 14° rapporto sanità del Crea, il Consorzio Universitario per la Ricerca Economica Applicata in Sanità promosso dall’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, messo a punto quest’anno in partnership con la Federazione Italiana Medici di medicina generale (Fimmg), e alcune Aziende sensibili all’importanza della ricerca a supporto del dibattito sulle politiche sanitarie.
E proprio nel settore della medicina generale il Rapporto Crea rileva la spinta verso forme aggregative dei medici, attraverso la costruzione di gruppi multiprofessionali e multidisciplinari, coinvolgendo figure come gli infermieri e gli operatori sociosanitari, oltre agli stessi specialisti ambulatoriali. L’obiettivo primario di queste aggregazioni è la realizzazione della continuità delle cure.
E il lavoro ora è necessario si concentri sull’ottimizzazione delle forme di allineamento professionale tra i Mmg e le altre discipline mediche coinvolte nella presa in carico del paziente, così come i rapporti di collaborazione con le altre professioni sanitarie, in particolar modo con la professione infermieristica, che ha assunto un ruolo primario nell’ambito di alcuni dei nuovi moduli di assistenza territoriali.
Si pensi ad esempio, si legge ancora nel Rapporto, al ruolo del case manager infermieristico nella presa in carico di pazienti in condizioni croniche ad alta complessità o di non autosufficienza/disabilità e al profilo gestionale del personale infermieristico nel nuovo Ospedale di comunità.
D’altra parte, specifica il rapporto Crea, lo stesso Piano nazionale della cronicità fornisce una serie di indicazioni puntuali. Anzitutto l’aggregazione del team di operatori, anche in assenza di una sede condivisa, deve essere promossa e favorita dall’organizzazione del lavoro; all’interno del team, inoltre vanno definiti chiaramente i ruoli e i compiti (almeno uno degli infermieri svolge la funzione di Care Management in collegamento con il tutor ospedaliero) mentre la definizione del Piano di cura e il coordinamento clinico sono nella responsabilità del Mmg.
Così, nell’organizzazione dei servizi per la presa in carico il Crea indica tra le altre iniziative la necessità di investire nella formazione delle varie figure all’interno delle equipe multiprofessionali e di definire più compiutamente il ruolo di case manager/ care manager dell’infermiere, investendo in formazione e incentivi economici, valorizzando il ruolo di coordinamento dell’infermiere nell’ambito delle equipe multi-professionali.
“È indubbiamente l’ora dell’infermiere di famiglia – commenta Ausilia Pulimeno, vicepresidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), che rappresenta gli oltre 445mila infermieri presenti in Italia, partecipando alla presentazione del Rapporto Crea –, cioè quell’infermiere che gli stessi cittadini chiedono: dai risultati dell’ultimo Osservatorio civico Fnopi-Cittadinanzattiva oltre il 79% di loro vorrebbe poter scegliere/disporre di un infermiere di famiglia/comunità come con il medico di medicina generale e che molte Regioni, dal Nord al Sud, hanno già attivato o deliberando ufficialmente la nuova figura. O come forma di sperimentazione o anche presentando proposte di legge ad hoc”.
“Quella dell’infermiere di famiglia in team col medico di famiglia è un’opzione sicuramente realizzabile – spiega Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi –, anche non utilizzando infermieri dipendenti che potrebbe essere un problema dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, ed è giudicata una strategia limitante dagli stessi infermieri che finora sono stati coinvolti nelle sperimentazioni/organizzazioni locali, ma liberi professionisti o convenzionati proprio come lo sono gli Mmg, in modo tale da poter anche dividere con il Mmg il rischio di impresa: lo studio funziona se funzionano i professionisti, il paziente è fidelizzato se si ottiene la loro fiducia”.
“L’idea – continua Mangiacavalli – è quella del medico di medicina generale ‘clinical manager’ dei pazienti sul territorio e dell’infermiere ‘care manager’, il loro ‘welfare manager’, perché dopo la giusta diagnosi e la scelta della migliore terapia il paziente ha assoluta necessità di essere seguito, guidato e aiutato nei suoi bisogni di salute con approccio proattivo e trasversale, prerogative della professione infermieristica”.
“Oggi sul territorio – spiega la presidente Fnopi – un medico di famiglia ha un massimale di 1.500 assistiti: FNOPI propone un massimale di assistiti cronici o disabili di 500 per infermiere. Un infermiere che lavori in équipe col medico, un infermiere ‘di famiglia’ accanto e a fianco del medico di famiglia, vere e proprie ‘micro-équipe’ sul territorio che siano davvero a fianco del paziente, senza soluzioni pericolose e che dia a ciascuno il suo ruolo nel rispetto delle singole professionalità. L’infermiere di famiglia può gestire i processi infermieristici in ambito familiare e di comunità di riferimento e opera in collaborazione con il medico di medicina generale e il pediatra di libera scelta, il medico di comunità e l’équipe multiprofessionale per aiutare individuo e famiglie a trovare le soluzioni ai loro bisogni di salute e a gestire le malattie croniche e le disabilità”.
Redazione Nurse Times
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