Una ricerca innovativa scopre come le cellule dello stomaco possano divenire “produttrici” di insulina, debellando il diabete nei test sui topi.
Ricercatori americani sono riusciti a guarire i topi dal diabete grazie al trapianto di cellule umane dello stomaco riprogrammate per produrre l’insulina, l’ormone secreto dal pancreas per tenere sotto controllo i livelli di zucchero (glicemia) nel sangue. I dettagli della ricerca “Stomach-derived human insulin-secreting organoids restore glucose homeostasis” sono stati pubblicati sull’autorevole rivista scientifica Nature Cell Biology.
Com’è noto, le persone affette dal diabete di tipo 1 e dal diabete di tipo 2 grave devono sottoporsi a costanti iniezioni di insulina per regolare la glicemia. Queste malattie, infatti, determinano la distruzione/alterazione delle cellule beta presenti all’interno delle isole di Langherans nel pancreas, responsabili della secrezione del suddetto ormone.
Questa necessità comporta una riduzione della qualità della vita e rischi connessi a una potenziale inefficacia nel controllo del glucosio in determinate circostanze. Attraverso il trapianto di queste cellule gastriche convertite in “simil cellule beta” sotto forma di aggregati – chiamati organoidi – in grado di secernere insulina si potrebbe cambiare la vita a milioni di persone in tutto il mondo. Al momento si tratta solo di un progetto sperimentale, ma l’efficacia dimostrata nei modelli murini (topi) affetti da diabete è indubbiamente molto promettente
A trasformare le cellule umane dello stomaco in cellule capaci di secernere l’insulina per trattare il diabete e a dimostrarne l’efficacia è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Dipartimento di Medicina del Weill Cornell Medicine di New York, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Microbiologia-Infettivologia e di Immunologia dell’Università Laval (Canada), del Boston Children’s Hospital e della Scuola di Medicina dell’Università di Harvard.
Gli scienziati, coordinati dal professor Qiao Zhou, docente di Medicina rigenerativa e membro dell’Hartman Institute for Therapeutic Organ Regeneration presso l’ateneo newyorchese, sono giunti a questo risultato dopo ben 15 anni di sperimentazione.
La ricerca era iniziata partendo dalla conversione di altre cellule del pancreas in cellule beta, attraverso l’attivazione di tre fattori di trascrizione (proteine chiamate NGN3 e PDX1-MAFA) che controllano l’espressione genica, come specificato in un comunicato stampa del Weill Cornell Medicine. Nel 2016 il professor Zhou e i suoi colleghi hanno scoperto che anche alcune cellule dello stomaco possono essere riprogrammate nello stesso modo per produrre insulina
“Lo stomaco produce le proprie cellule che secernono ormoni, e le cellule dello stomaco e le cellule pancreatiche sono adiacenti nella fase embrionale dello sviluppo, quindi in questo senso non è del tutto sorprendente che le cellule staminali gastriche possano essere così facilmente trasformate in simil-cellule-beta che secernono insulina”, ha spiegato il dottor Zhou.
Queste cellule gastriche umane, tecnicamente chiamate cellule secernenti insulina gastrica (GINS), sono state coltivate in laboratorio in organoidi e poi impiantate in topi con diabete, dove hanno controllato con successo la malattia iniziando a secernere l’ormone e a equilibrare in modo naturale i livelli di glucosio nel sangue. Gli organoidi trapiantati sono stati in grado di controllare lo zucchero per ben sei mesi dopo l’impianto, suggerendo un funzionamento duraturo che può risultare molto prezioso per i pazienti.
“Gli organoidi GINS hanno acquisito la secrezione di insulina stimolata dal glucosio in 10 giorni e ripristinato l’omeostasi del glucosio per oltre 100 giorni nei topi diabetici dopo il trapianto, fornendo una prova di concetto per un approccio promettente per il trattamento del diabete”, hanno spiegato gli autori nell’abstract dello studio
Queste cellule GINS potrebbero essere ottenute a partire dalle cellule staminali dell’intestino, abbondanti e che possono essere convertite in qualunque cellula del corpo. Nei pazienti verrebbero trapiantate le loro stesse cellule, al fine di ridurre il rischio di rigetto degli organoidi da parte del sistema immunitario. Va ribadito che si tratta di risultati preclinici e prima di poter vedere questi organoidi applicati nell’ambito clinico (sull’uomo) potrebbero passare molti anni.
Redazione Nurse Times
Fonte: Fanpage.it
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