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Coronavirus, la pandemia come una guerra: parliamone.

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Coronavirus, l'epidemia come una guerra: parliamone.
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Proponiamo le riflessioni sul tema della nostra collaboratrice Anna Di Martino.

In guerra e in amore tutto è lecito. Così recita un famoso detto. Se è vero, come è vero, che lo stato attuale del panorama sanitario nazionale può essere paragonato a una guerra… be’, parliamone.

La guerra in oggetto è l’attuale pandemia che ci troviamo a dover fronteggiare, ma che si ha l’impressione di vederla sfuggire tra le mani, con bilanci pesantissimi in termine di operatori sanitari contagiati. Tante sono le riflessioni da fare attorno a questa tematica, come tante sono le sfaccettature osservabili. A partire da un sistema sanitario così frastagliato perché demandato alle realtà regionali e, più in particolare, a quelle aziendali, osserviamo una serie infinita di azioni e reazioni.

Quelli che sono stati investiti da un’ondata importante di casi di Covid-19 e la cui organizzazione ha permesso di combattere ben protetti da lucide armature, a quelli che, poveracci, con una mascherina chirurgica devono tirare una settimana o a cui viene intimato di non indossarle per non “spaventare” gli utenti o generare allarmismi. Pensate che scherzi? Purtroppo no. Ho letto anche questo.

Fatta questa premessa, mi vengono in mente diverse considerazioni. Prima fra tutte quella che verte sul fatto che siamo un Paese in cui forse non si da’ il giusto peso alla cultura della prevenzione. Ecco, la piaga delle infezioni correlate all’assistenza, è ormai cronica, lo abbiamo detto, ridetto e ribadito. La gestione non è poi tanto diversa, le misure da mettere in campo sono le medesime, qualsiasi sia l’agente eziologico dell’infezione in questione. Poi certo, il paziente infetto da coronavirus, presuppone una gestione dal punto di vista del possibile contagio, ben più complessa ma, insomma, prevenzione, sanificazione etc. sono le stesse.

Con questo cosa voglio dire? Che se fossimo abituati a saper mettere in campo le strategie di prevenzione, come atti dovuti e necessari di default, saremmo molto più avvantaggiati. In questo senso, invece, mi sento di ribadire la poca attenzione alla cultura della prevenzione. A livello dirigenziale e strategico si sarebbe dovuto dare attenzione a questo aspetto ed investire in termini di risorse e strategie che andassero verso la valorizzazione di formazione, informazione ed organizzazione di percorsi standardizzati.

Il secondo aspetto che vorrei mettere a fuoco è il ruolo da protagonisti che abbiamo come professionisti sanitari Infermieri. Ci stiamo da tempo spendendo ed adoperando per far comprendere le nostre ragioni e le criticità che attanagliano la nostra figura, la scarsa valorizzazione, il mancato riconoscimento delle specializzazioni, il trattamento economico inadeguato, il bisogno formativo non soddisfatto… In questa emergenza tutte queste lacune vengono alla luce con un’evidenza dirompente. Come, d’altronde, sta venendo fuori il bisogno della popolazione rispetto alle nostre cure assistenziali.

Fondamentali? Direi proprio di sì, visto che ora siamo alla ribalta come gli eroi dell’ultima ora… all’improvviso, in caso di estremo bisogno, siamo assurti agli onori della cronaca. Siamo cercati, riconosciuti, pregati e ringraziati. Ma perché? Noi siamo sempre gli stessi ed in molti casi carne da macello, vittime di scellerate gestioni poco competenti che ci espongono in maniera pericolosa al contagio diretto.

Tutto questo è frutto di politiche sbagliate, di poca attenzione rispetto alle rimostranze che, stremati, abbiamo cercato di fare. Una professione da restaurare completamente ma che nel frattempo, insieme ai medici, sostiene questo carrozzone così pesante che davvero presuppone uno sforzo oltre il nostro limite e che ancora una volta ci costringe ad alzare l’asticella verso l’alto. Vi sembra giusto, visto che di una guerra si tratta, mandare al fronte soldati con armi spuntate o che non siano sufficientemente addestrati? Di certo no, invece mandiamo in prima linea giovani infermieri neo-laureati che magari non hanno mai visto un ventilatore o infermieri di tutt’altra specialità dover armeggiare con pazienti critici di quel genere.

Certo, gli infermieri mancano perché molti sono contagiati o stremati ma non è possibile accorgersene quando ci si trova in situazioni di crisi! Certo che siamo di fronte ad una pandemia del tutto inaspettata e di una portata imponente ma, alla luce dei fatti, non avremmo mai dovuto trovarci così impreparati dal punto di vista organizzativo. In buona sostanza, ora più che mai si fa impellente il bisogno di ripensare l’intera organizzazione professionale, prendendo spunto proprio dalle criticità evidenziate da questo panorama. Auspico che da una crisi nascano nuove opportunità, nuovi punti di vista e nuove possibilità di ascolto verso la categoria degli infermieri che, orgogliosa, lancia il cuore oltre l’ostacolo.

Anna Di Martino

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