Una collega in servizio a Rio de Janeiro ha raccontato alla testata Redattore Sociale come stanno le cose nel Paese sudamericano.
“Qui in Brasile il sistema di salute pubblica è collassato, mancano investimenti seri e i medici e gli infermieri sono costretti a lavorare in condizioni difficilissime. Io stessa mi sono ammalata di Covid-19 e sono dovuta rimanere in isolamento per 30 giorni. E’ stata durissima psicologicamente”. Parola di un’infermier 48enne che lavora come infermiera in un ospedale privato di Rio de Janeiro. Nella struttura ha accesso a tutti i dispositivi di sicurezza, come camici e mascherine, ma negli ultimi mesi il carico di lavoro è stato molto elevato, visto che molti operatori hanno contratto il coronavirus e il personale è stato decimato.
“Ho rapporti con colleghi che lavorano nella sanità pubblica e mi raccontano che lì non ci sono le attrezzature adeguate per curare i pazienti, non vengono rispettati gli standard minimi e alcuni operatori sanitari hanno problemi psicologici perché stanno iniziando a pensare di essere incapaci nel loro lavoro – continua la donna –. In più, sono costretti a comprare di tasca propria i dispositivi di sicurezza come le mascherine, che non vengono fornite, e in alcune strutture non ricevono lo stipendio da più di tre mesi”.
In Brasile la situazione è drammatica, con i numeri dei contagi e dei decessi in continua crescita. Nel frattempo il presidente Jair Bolsonaro è risultato positivo al tampone per la terza volta consecutiva. “Il nostro Governo non ha fatto nulla e non sta facendo nulla per affrontare l’emergenza – afferma l’infermiera –. Le persone più colpite sono quelle che non hanno la possibilità di rispettare il distanziamento sociale, come gli abitanti delle favelas. È inutile che il Governo costruisca strutture costose: serve investire nei centri di salute che già esistono e dotarli di infrastrutture adeguate, sia per ricevere i pazienti sia per permettere agli operatori sanitari di lavorare dignitosamente”.
Tra gli episodi che hanno colpito di più la donna c’è quello dello zio di sua cognata, un uomo di 86 anni che, dopo un lungo ricovero, era riuscito a guarire dal Covid-19, ma poi è dovuto tornare in ospedale per colpa di un’infezione alle vie urinarie: “Dalla vescica l’infezione ha rischiato di espandersi a tutto il corpo, anche perché si tratta di una persona di una certa età. È probabile che abbia preso quell’infezione attraverso un macchinario mentre era ricoverato. Questo episodio è un simbolo della negligenza del nostro sistema, che mentre cura rischia anche di fare del male alle persone. Non riesco a pensare al domani, vivo un giorno alla volta, affrontando le responsabilità che ho per la mia vita e per quella della mia famiglia. Mi piacerebbe mandare un messaggio positivo, ma non posso farlo”.
Redazione Nurse Times
Fonte: Redattore Sociale
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