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Coronavirus, come riconoscere le mascherine contraffatte?

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Coronavirus, come riconoscere le mascherine contraffatte?
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Risonde il virologo Fabrizio Pregliasco, intervistato dall’agenzia Dire.

Da varie inchieste è emerso che molte mascherine, anche Ffp2, sono irregolari e non proteggono. Dopo un anno di pandemia, i cittadini sono ancora costretti a destreggiarsi per riconoscere quali sono inadatte e possono metterli a rischio. A fare chiarezza possono aiutare le indicazioni di Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario dell’Irccs Galeazzi di Milano, intervistato dall’agenzia Dire.

Professor Pregliasco, da varie inchieste, tra cui l’Olaf, l’Antifrode dell’Unione europea e i carabinieri del Nas, è emerso che alcune delle mascherine di produzione cinese sono contraffatte. Parliamo principalmente di Ffp2 che sono classificate come dispositivi di protezione individuale, al pari delle Ffp3, mentre quelle chirurgiche sono considerate dispositivi medici. Può spiegarci le differenze tra i tre prodotti?
“Le chirurgiche sono nate come utilizzo non protettivo verso l’esterno, se non come effetto conseguente, ma con lo scopo di assicurare il campo sterile in ambito chirurgico, affinché il paziente non venga infettato dagli operatori in sala operatoria. La capacità protettiva dall’esterno verso l’interno è del 20-30%, mentre dell’80% dall’interno verso l’esterno. L’impiego di questo prodotto, dispositivo medico, si basa sul fatto che se tutti le utilizziamo proteggiamo noi e gli altri dal Sars-CoV-2. I Dpi invece si rifanno alle disposizioni di legge sulla sicurezza del lavoro e sono catalogati come dispositivi di protezione individuale. Nascono come protezione per i lavoratori, verniciatori e carrozzieri, ma anche in senso più ampio, tanto che vengono utilizzate con capacità del 95-98% di protezione e all’inizio avevano tutte i filtri: la valvola non protegge tuttavia gli altri ma chi indossa la mascherina. È un ‘di cui’ il fatto che proteggano anche dai droplet e hanno anche disposizioni più stringenti rispetto ad altre, con un impiego massimo di 4-6 ore. Gli elementi di certificazione riguardano il marchio CE, l’ente certificatore Accredia, e il meccanismo delle Iso, che fanno i controlli di qualità”.

Come possiamo distinguere una mascherina appropriata da quelle che invece risultano inefficaci? Cosa deve esser scritto sulla confezione che contiene il prodotto e come non allarmarci?
“C’è un meccanismo di sottrazione delle regole, come sempre in tutte le cose, che però non ci deve allarmare: non è detto che sia colpa del certificatore, è la ditta che invia lotti di prodotto all’ente certificatore e che, dopo aver ottenuto la validazione, può mettersi a fare qualcosa di diverso. Servono però certificazioni periodiche che dimostrino che i prodotti siano sempre validi e che vengano certificati da un ente valido. L’elemento che è emerso è che alcuni dei certificatori, tra cui un ente turco, è stato disattento rispetto a queste norme, perché ha subappaltato, legalmente, la validazione anche a laboratori situati in Cina. In questo senso bisogna vedere se la Ffp2 riporta la marca della ditta produttrice cinese con il codice CE2163, certificazione rilasciata dalla società turca, se il marchio CE è conforme”.

Può consigliare un uso differenziato dei vari dispositivi a seconda del contesto in cui ci troviamo?
“La mascherina deve essere un elemento che non deve far abbassare la guardia, in alcune situazioni si può pensare di utilizzare la chirurgica sopra un’altra mascherina per poter cambiare quella esterna più spesso. Una famiglia con quattro persone spenderebbe troppo se utilizzasse le Ffp2, quindi meglio una chirurgica seria, valida, gestendola attentamente però quando ha esaurito il suo compito. Rimane la regola che dobbiamo tenere la distanza quando siamo con altre persone, mentre a fronte delle varianti, dagli studi pare che la contagiosità duri più a lungo nel tempo ma l’ipotesi che ci sia una carica virale maggiore, e quindi più droplet, non è accertata. Ogni infezione necessita tuttavia di una carica virale sufficiente per contagiare, è chiaro quindi che può esserci un droplet maggiore con alcune varianti. Resta pertanto la distanza come regola aurea, sia al chiuso che all’aperto. Se siamo su un mezzo di trasporto collettivo, meglio usare una Ffp2”.

Ha parlato di non abbassare la guardia. Nemmeno dopo l’immunizzazione con il vaccino?
“Ad oggi non è possibile determinare la differenza, in pubblico, tra persone che hanno fatto il vaccino, quindi come prima cosa la mascherina va indossata anche dopo il vaccino con doppia dose. Gli studi clinici delle aziende produttrici del farmaco hanno glissato sulla trasmissibilità della malattia anche dopo il vaccino perché, almeno all’inizio, se avessero incluso anche questo parametro tra i goal da raggiungere per l’efficacia, avrebbero potuto mancare l’obiettivo. Tuttavia, con l’immunizzazione vediamo che c’è una certa protezione anche dalla trasmissione del virus, da alcuni dati, ma per non correre rischi e in attesa che nuovi studi ce ne diano conferma, dobbiamo utilizzare la mascherina anche dopo aver ricevuto il vaccino”.

Redazione Nurse Times

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