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Autonomia, alle Regioni ricche non piace la riforma Boccia: ecco perché

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Autonomia, alle Regioni ricche non piace la riforma Boccia: ecco perché
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Rilanciamo un approfondimento pubblicato sul Corriere della Sera.

Le regioni più ricche che dovranno garantire trasferimenti di risorse a quelle più povere. Servizi adeguati per tutti. Definizione e finanziamento dei Lep (Livelli essenziali di prestazioni) che dovranno avvenire attraverso i bisogni standard, vale a dire le giuste quantità di risorse calcolate a «costi equi» in carico a ciascun territorio per assicurare gli stessi Lep a tutti. Sono alcuni dei punti tracciati nella bozza quadro di riforma delle autonomie differenziate regionali presentata il 9 novembre dal Pd Francesco Boccia, ministro per gli Affari regionali e le autonomie, e oggetto di verifica e confronto il 15 novembre alla Conferenza Stato-Regioni. La tanto attesa autonomia chiesta da Veneto e Lombardia con referendum consultivo nell’ottobre 2017 e dall’Emilia-Romagna con delibera consiliare sembrerebbe giunta a un punto di svolta. Boccia ha detto che già a inizio gennaio 2020, se il Parlamento avrà nel frattempo approvato, ci saranno i primi decreti per un via libera effettivo della riforma. Tutto bene dunque? Le tre Regioni sono soddisfatte? Non proprio.

Questione fisco
Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna hanno singolarmente nel tempo già avviato dei confronti tecnici con i governi per valutare le materie oggetto di contesa sull’autonomia, così come previsto dagli articoli 116 e 117 della Costituzione, dopo la modifica avvenuta con la riforma costituzionale del Titolo V approvata nel 2001. Tra le materie concorrenti su cui è possibile avere maggiore libertà di azione figurano sanità, sicurezza sul lavoro, beni culturali, ricerca scientifica e tecnologica, infrastrutture, istruzione (con alcuni paletti). L’obiettivo del raggiungimento di singole intese è stato più volte ostacolato da scontri tra governatori e governo. Tanto il governatore leghista lombardo Attilio Fontana quanto quello veneto Luca Zaia si sono molte volte lamentati di non riuscire a fare passi avanti per «una vera autonomia». Un punto focale è il fisco. La regione Veneto ha insistito nel dire che i fabbisogni standard dovrebbero essere legati alla capacità fiscale dei territori, dove per fabbisogni standard s’intendono i parametri a cui legare le spese fondamentali per assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica.

Costo standard, costo storico
In base alle intese preliminari sottoscritte nel febbraio 2018 ai tempi del governo Gentiloni («Giornata storica», disse Zaia), Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna avrebbero ottenuto inizialmente risorse in base al costo storico, quindi in base a quanto già spendevano per una determinata competenza (calcolato nell’anno di approvazione definitiva della richiesta). Entro 12 mesi dall’accordo definitivo si sarebbero dovuti definire i fabbisogni standard, per superare il criterio della spesa storica. Il costo standard sarebbe potuto essere più elevato rispetto al costo storico corrente, ma qui è stato difficile fare previsioni per capire l’eventuale svantaggio per alcune regioni.

Singoli accordi salvi
A questo punto, le approvazioni delle intese tra Stato e Regioni dovrebbero poter procedere per conto proprio e si attendono i pareri delle Commissioni parlamentari competenti, le risposte conseguenti del governo e quelle delle Regioni, fino al voto finale di Camera e Senato. La legge quadro che Boccia ha inviato il 9 novembre alle Regioni non bloccherebbe dunque questo iter. Le singole intese potranno essere approvate anche in assenza della griglia di servizi essenziali di cui parla l’attuale bozza quadro. Funzioni e risorse saranno attribuite, in assenza di fabbisogni standard, «entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di approvazione dell’intesa».

Solidarietà e perequazione
Ma le Regioni che chiedono da anni più autonomia dicono di vedere la trappola. Zaia ha parlato di «testo irricevibile». La bozza quadro stabilisce infatti che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, coinvolge le Città metropolitane, affida a un commissario ministeriale la definizione dei Lep, prevede vincoli nei fondi ordinari nazionali a favore delle Regioni più svantaggiate (perlopiù al Sud), e all’interno di queste a favore delle province più svantaggiate. Il tutto basato sul principio di sussidarietà, solidarietà e perequazione. Appunto, su Lep uniformi in tutto il Paese, con denaro trasferito da chi ha di più a chi ha di meno. Dal punto di vista delle Regioni coinvolte, uno stop al processo, l’annullamento del lavoro portato avanti sin qui. Se Veneto o Lombardia volessero garantire più servizi, dovrebbero farlo a parità di costo o alzando la presione fiscale. La bozza quadro attende ora i pareri delle apposite Commissioni parlamentari e lo stesso Boccia ha annunciato «che il testo potrà essere migliorato con il contributo di tutti». E già alla Conferenza Stato-Regioni i nodi emergeranno.

Redazione Nurse Times

Fonte: Corriere della Sera

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