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IPASVI FIRENZE, MASSAI: le evidenze scientifiche, le competenze avanzate e la formazione

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Egli incentra il suo intervento sulle prospettive della professione infermieristica considerando che l’evoluzione universitaria non va di pari passo con quella dell’organizzazione assistenziale. C’è molta strada da fare: ci vuole la volontà di prendere gli elementi buoni, riprogrammarli, e diffondere una fiducia negli infermieri dando una responsabilità a questa società, rendendo l’infermieristica trasparente alla popolazione.

La percezione dell’infermieristica come viene considerata nella sanità italiana? Nel nostro SSN gli infermieri sono visti come i parenti poveri dei medici, perché ancora oggi in Italia si fa un grande errore culturale tra cura del medico e l’assistenza dell’infermiere nella persona assistita. Forse nella nostra famiglia non c’è ancora quella liberà psicologica nel dire che la nostra professione è forte e dobbiamo affermarla invece di guardarci allo specchio e vedere sempre la figura del medico come attore principale. Ma se si parla di una sanità che deve dare risposte nella cronicità, nella fragilità nella multiculturalità ecc..

Gli infermieri nascono nel tempo con varie differenze formative. Molti non sono passati dall’università, ma si sono formati direttamente sul campo, dove l’infermiere deve essere un buon collaboratore. E le regioni e l’autonomia delle aziende ospedaliere in alcuni casi hanno facilitato la crescita dei nostri professionisti, mentre in altri casi sono rimasti sulle figure mediche.

La strada da percorrere perché i due mondi (medico-infermiere) si incontrino nello stesso verso e si mescolino insieme? Bisogna lavorare molto sulla formazione del nuovo medico, e disegnare meglio quella dell’infermiere nei suoi ambiti di responsabilità diretta, sia sociale che professionale e nel lavoro di gruppo. Quindi, bisogna ridimensionare queste due figure, nell’ottica di risposte possibili in termini di intervento per garantire la salute, la buona sanità ecc.

Questa è la politica che bisogna adottare. Quindi, bisogna ridisegnare non i confini, ma i perimetri comuni e quelli che portano a delle specificità sia nel campo medico che quello infermieristico. Io credo che il segreto sia lì.

Quindi, ci vuole un buon ripensamento della politica da ora a dieci anni, per poi definire quali sono gli strumenti adeguati come l’università, visto che tutte e due le professioni si formano al suo interno; non si può continuare a definire l’infermieristica una facoltà ospite quando lo studente che uscirà come dottore in infermieristica paga le tasse ed ha tutti i diritti e doveri dei me- dici, anche se è una laurea sostanzialmente percepita dall’università o da chi è dentro di serie b, e tale non è…bisogna partire da questo. Rifacendo la contrattazione e tutta una serie di norme, come il patto per la salute, le norme sui LEA ecc.. bisogna sempre specificare l’infermieristica, senza far prevalere solamente la clinica medica, perché dietro questo c’è tutto (riabilitazione, assistenza, prevenzione, ecc..) Questi mondi vanno evidenziati perché sono figure diverse ed hanno responsabilità ed autonomia. Non è che si raggiunge giorno per giorno la mediazione tra medico ed infermiere come professionisti, ma bisogna prevedere una formazione dei professionisti con competenze trasversali (saper dialogare, sapersi confrontare, saper fare problem solving).

Se l’infermiere, per la legge ordinistica, è responsabile e deve pianificare l’assistenza, quando incontra il cittadino già deve pensare a come deve organizzare per dare una risposta; se fa questo, quindi, acquisirà la cultura, la visibilità esterna, ma anche il medico capirà che con quella pianificazione infermieristica il cittadino è più orientato ad usare i servizi e le prestazioni che la Sanità mette a disposizione, ed ovviamente in questo caso ci guadagna come professionista anche lui.

Ultima considerazione sul futuro della professione in termini di riconoscibilità ma anche in termini numerici cresce la disoccupazione infermieristica, questo dato preoccupante come si combatte? Uno è la scelta politica al cittadino, dove non bisogna garantire soltanto la gestione farmacologica della malattia, che continuano a pagare sempre di più, ma bisogna garantisce l’assistenza. Fra tutte le tipologie di assistenza c’è quella infermieristica che è ben definita. Rinunciando all’infermieristica in termini di rapporto del valore aggiunto ai processi in sanità e di salute della persona assistita, questa politica sta sbagliando perché nel tempo ci rimetterà. In Italia si dice che occorrono circa 60.000 infermieri per reggere un SSN che offre prestazioni e la presa in carico della persona come valore costituzionale alla tutela della salute… quindi se occorrono infermieri, parlare di disoccupazione infermieristica giovanile è fuori luogo; se parliamo di politica, di economia, di finanza, di collocazione degli infermieri ed allora è un altro aspetto. I giovani subiscono questa non scelta politica costringendoli a contratti umilianti sia nel costo che nei contenuti perché non è definito se fanno l’infermiere o fanno altro, dopo tre anni che studiano per fare l’infermiere ed escono dei dottori in infermieristica.

Quindi la politica deve garantire i valori della società civile.

L’altro aspetto è quello che costringe i giovani a non determinazione dell’infermieristica come risorsa economica nazionale e ad andare verso l’estero. Questa cosa comporta dei vantaggi, cioè lavorare in Europa, imparando nuovi sistemi, acquisendo nuove abilità e conoscenze, ma dall’altro canto in Italia si sta perdendo una generazione di giovani che non garantiscono i servizi.
Quindi abbiamo bisogno di giovani nella ricerca e nell’innovazione… bisogna puntare su un’ottica diversa, sulle energie che un giovane mette e questo non può permettersi di perderlo né l’infermieristica né l’intera società. Ma io penso che chi si occupa di economia in Italia a tutti i livelli deve pensare all’infermieristica non solo in termini di economia (meno ricoveri, meno criticità, meno incidenti, meno accessi impropri ai servizi, una riduzione dei costi dei farmaci perché sanno orientare i cittadini ad usare in modo più appropriato una terapia) quindi bisogna puntare ad indicatori che occorrono come quelli epidemiologici.

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