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ADI nel Sulcis: per i malati e per i loro familiari è fallimento senza precedenti

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La problematica emersa in Sardegna rischia di diventare nazionale data l’importanza delle competenze specialistiche nelle cure domiciliari con elevato livello di complessità.

Continua ormai da diversi mesi la dura protesta dei familiari e dei malati assistiti attraverso le cure domiciliari integrate di terzo livello (ADI) in capo alla ASL 7 di Carbonia.

Numerose le difficoltà e i disagi emersi nella fase di transizione del modello organizzativo che il Commissario straordinario della Asl 7 Antonio Onnis starebbe cercando di realizzare per “rinnovare” l’assistenza domiciliare di pazienti con elevato livello di complessità, tra i quali portatori di malattie neurologiche degenerative/progressive in fase avanzata (SLA e distrofia muscolare), pazienti con necessità di nutrizione artificiale parenterale, pazienti con necessità di supporto ventilatorio invasivo e pazienti in stato vegetativo e stato di minima coscienza.

La fase di riorganizzazione, apparentemente in linea con gli indirizzi di programmazione dell’assessorato della Sanità della Regione Sardegna, pur mirando formalmente al potenziamento dei processi di deospedalizzazione volto a fornire cure appropriate in un ambiente familiare per i malati, in mancanza di una reale valutazione dei bisogni di assistenza specialistica manifestati dai cittadini rischia sempre più di apparire quale modello imposto, non condiviso, in totale antitesi rispetto alle effettive necessità assistenziali e che nel tempo potrebbe confermare la preoccupante tendenza di ricovero d’urgenza dei pazienti precedentemente deospedalizzati.

I malati colpiti da malattie rare ad alto impatto sociale ed i loro familiari, riuniti nellassociazione di volontariato Le Rondini, hanno più volte manifestato il bisogno di essere ascoltati per poter spiegare nel dettaglio i disagi ed i motivi concreti della loro protesta, anche se ad oggi, purtroppo, non ritengono di aver ottenuto l’attenzione che meriterebbe chi affronta ogni giorno situazioni di necessità assistenziali con elevati livelli di complessità ed in presenza di criticità specifiche.

«Sei ricoveri in meno di un mese, non era mai accaduto in tanti anni. A far precipitare la situazione il ricovero di due pazienti per problemi che avrebbero potuto essere risolti a casa con personale medico ed infermieristico che oggi invece opera in orari già prestabiliti e quando non serve», questo quanto denunciato dall’associazione Le Rondini – presieduta da Sanzio Bertolazzo – impegnata nella tutela dei diritti dei malati gravi che da tempo sottolinea le grossolane carenze del nuovo modello organizzativo.

Il modello di ADI precedente alla riorganizzazione imposta dal Commissario straordinario Onnis era considerato da pazienti e dai loro familiari un vero e proprio modello di eccellenza specialistica, grazie al quale, per anni, è stato possibile affrontare adeguatamente i bisogni di continuità assistenziale domiciliare attraverso un consolidato ed esemplare rapporto terapeutico con gli specialisti medici ed infermieri delle Unità di rianimazione del territorio, dalle quali i pazienti risultavano dimessi ed adeguatamente assistiti.

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Ma se il modello basato sulla competenza specialistica del personale sanitario che presta servizio di rianimazione finora ha funzionato, perchè mai bisognerebbe cambiarlo?

Lo scorso 17 luglio l’assessore della Sanità Luigi Arru, a seguito di un incontro avvenuto il giorno precedente con i familiari dei malati assistiti, aveva riferito all’Unione Sarda quanto segue: «Cercheremo di supportare in tempi rapidi il completamento del processo di riorganizzazione già avviato dal Commissario della Asl 7, garantendo assistenza qualificata e continuativa da parte degli operatori medici e sanitari specializzati. Abbiamo preso atto dei gravi disagi patiti dai familiari dei pazienti e riteniamo di poterli superare grazie all’individuazione di almeno tre medici che garantiscano una gestione integrata del processo di cure, e diano supporto e sicurezza ai pazienti, attraverso la circolarità e la condivisione delle esperienze.»

Da allora numerosi sono stati gli incontri interlocutori tra i familiari dei pazienti, l’assessore regionale alla Sanità Arru ed il commissario straordinario della Asl 7 Antonio Onnis ma, come da quanto si apprende anche dalla rassegna stampa dalla Regione Autonoma della Sardegna, ad oggi nulla sembra essere cambiato, mentre la protesta di pazienti e familiari continua.

Occorre rimarcare che in questa assurda vicenda, che coinvolge i pazienti affetti da malattie altamente invalidanti e le loro famiglie, non risulta ancora chiara la posizione dell’Assessore regionale alla Sanità Arru in riferimento al ruolo ricoperto presso la Simannu, Centro simulazione medica di Nuoro, a cui sarebbe stato dato l’incarico di attivazione dei corsi di formazione per la “Gestione dell’emergenza e urgenze ai pazienti in ventilazione meccanizza domiciliare” in favore del nuovo personale reclutato da destinare al rinnovato servizio ADI del Sulcis.

Un’iniziativa apparentemente utile, certo, ma che non manca di suscitare qualche perplessità visto il ruolo ricoperto da Luigi Arru e preso atto, peraltro, che sul territorio il personale esperto in emergenze ed urgenze esiste già e presta servizio, con continuità professionale e aggiornamento continuo, presso le unità di rianimazione.

È davvero opportuno che l’Assessore Arru risulti altresì direttore scientifico di un Centro di simulazione medica cui vengono affidati corsi di formazione voluti dal Commissario straordinario della Asl 7 (Delibera N° 1231/C del 7 agosto scorso) e che, in sostanza, detti corsi risultino di diretta emanazione della Giunta regionale?

Per taluni potrebbe anche esserlo ma per molti altri decisamente no, tenuto conto soprattutto della normativa nazionale che vieta perentoriamente le situazioni di verosimile conflitto di interesse.

A generare ulteriore ansia tra i pazienti ed i loro familiari, oltre al denunciato reclutamento di personale medico ed infermieristico che non conosce i pazienti sul territorio e che addirittura non sarebbe a conoscenza del funzionamento dei presidi di ventilatazione invasiva in uso agli stessi, vi sarebbe la scelta azzardata di voler demandare gli interventi di emergenza/urgenza al personale del 118, che, per comprensibili ragioni di competenza, si troverebbe costantemente costretto al trasporto in ospedale dei pazienti anche per interventi effettuabili a domicilio dal personale medico ed infermieristico della rianimazione (es. cambio cannula, ecc.).

In relazione ai numerosi disagi ed alle forti preoccupazioni emerse in Sardegna, la situazione, se non opportunamente risolta, rischia indubbiamente di assumere un carattere nazionale, data l’importanza delle competenze specialistiche degli infermieri afferenti anche alle cure domiciliari con elevato livello di complessità, per le quali la Federazione nazionale IPASVI, presieduta dalla dott.ssa Barbara Mangiacavalli, in linea con quanto statuito dal comma 566 della legge 190/2014, risulta aver già presentato un dettagliato modello di evoluzione professionale.

Il modello di evoluzione delle competenze specialistiche degli infermieri, elaborato da un gruppo di infermieri esperti, si richiama al Patto per la salute e ai contenuti della bozza di accordo tra Governo e Regioni sulle competenze specialistiche dell’infermiere, già approvato nel 2013 dagli assessori alla Sanità e che attende solo il via libera in Conferenza Stato-Regioni.

Con il termine Infermiere specialista clinico, stando al modello di evoluzione delle competenze specialistiche degli infermieri, ci si riferisce a un infermiere che si è formato con laurea magistrale in Scienze Infermieristiche con orientamento in una delle aree previste dall’accordo Stato Regioni (area cure primarie – servizi territoriali/distrettuali; area intensiva e dell’emergenza/urgenza; area medica; area chirurgica; area neonatalogica/pediatrica; area salute mentale e dipendenze).

È l’infermiere specialista clinico in grado di orientare, governare (impostare, supervisionare, monitorizzare, valutare) sia i processi assistenziali tipici di una certa area clinica e presenti in qualsiasi struttura (dalla più piccola alla più complessa, dalla più generalista alla più specializzata), sia le competenze professionali necessarie per realizzarli.

Appaiono del tutto comprensibili, quindi, i motivi per i quali i malati destinatari delle cure domiciliari integrate di terzo livello (ADI) in capo alla ASL 7 di Carbonia non intendano farsi assistere da personale sanitario generalista che necessita di formazione accademica specifica e preferiscano, per ragioni di sicurezza ed in attesa dell’attuazione del comma 566 della Legge di stabilità, continuare ad essere assistiti dal personale sanitario della rianimazione che, per continuità professionale, non necessita di ulteriore indottrinamento o di alcun tipo di “affiancamento” da effettuarsi presso il domicilio di pazienti così fragili e complessi.

NurseTimes si impegna a seguire gli sviluppi della vicenda e ribadisce il proprio sostegno ai malati del Sulcis ed ai loro familiari.

Massimo Randolfi

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