Un luogo, con le sue genti, i suoi paesaggi, la sua cultura, si può scoprire in molti modi, e senza dubbio ci sono molti modi di viaggiare. Ma lo spirito dell’autentico viaggiatore è quello di conoscere un luogo in profondità, di avvicinarsi alle cose e alle persone senza paura o preconcetti ma con la voglia di capire, rispettare, aiutare. Facendo il volontariato, per esempio.
Un’esperienza unica che permette di visitare un Paese lasciando un segno intangibile del proprio passaggio, un piccolo ma fondamentale contributo.
Provando ad immaginare un filo conduttore che partendo dagli albori della professione infermieristica giunga sino ad oggi, per allacciarsi a quello che è il moderno concetto di emergenza sanitaria è possibile delineare un comune denominatore: la volontarietà, o meglio volontariato.
Partendo da quest’affermazione, è lecito e necessario domandarsi che cosa leghi la professione infermieristica al concetto di volontariato.
Oggi vi racconterò la storia di Stefania (una collega del 118 brindisino) e di Pina (fotografa in un paese alle porte di Lecce), innamorate dell’Africa che hanno deciso di partecipare e, dar vita, ad un progetto di volontariato internazionale nel Sud del Mondo, precisamente nella Repubblica Democratica del Congo a Kolwezi con “Il giardino dei bimbi”, un’associazione laica ed indipendente che opera per la solidarietà.
Come nasce l’associazione “Il giardino dei bimbi”?
Nasce – innanzitutto – da molteplici esperienze. Il mio nome è Pina (prende la parola per raccontare la sua esperienza personale) e sono partita in Congo per la prima volta a giugno 2015 insieme a Manuela – una mia amica – e ad un frate francescano da un po’ di anni in Italia, per intraprendere un’esperienza di volontariato in Africa.
La mia prima esperienza, durata solo dieci giorni e, si concretizza in un ospedale “dei poveri” dove ho conosciuto due bimbi: una femminuccia di dieci giorni di nome Francesca (partorita e poi gettata in una campagna dalla madre) ed un maschietto di nome David che aveva all’epoca sei mesi.
In questo nostro primo soggiorno, ci siamo recati anche a visitare un orfanotrofio posto in un altro sito logistico. Una tenda arancione con parvenza di canile senza voler esagerare.
I bimbi, in questo luogo, erano seduti per terra, nudi e mangiavano da soli senza alcun aiuto.
Tornata in Italia fisicamente ma, avendo da subito compreso che le mie membra ed il mio cuore erano rimasti lì con quella gente e, soprattutto con quei due angioletti di colore, il mio più grande tarlo era divenuto quello di “liberarli” da quell’ospedale fatiscente per dar loro l’affetto ed il calore di una vera famiglia.
Nel mio secondo viaggio, iniziato il 31 agosto 2015 e durato solo cinque giorni, siamo grazie a Dio riusciti a “liberarli” entrambe: prima David e a seguire la piccola Francesca.
Ma, quello che ancora oggi mi commuove solo al pensiero è che, il sogno che avevo iniziato a maturare nel mio primo viaggio, ossia la costruzione di un orfanotrofio, si stava concretizzando grazie alla volontà di un’altra persona fino a quel momento per me, per noi, sconosciuta.
In questa seconda permanenza, assisto infatti alla posa della prima pietra di un orfanotrofio “Il giardino dei bimbi”. Quando ho realizzato che questo sogno finalmente sarebbe divenuto realtà non sono riuscita a trattenere le lacrime.
In un secondo momento, ho avuto maggiori informazioni circa questa benefattrice.
Si trattava di una ragazza orfana, della mia zona, con problemi di salute (tumore) il cui desiderio era quello, restando nell’anonimato, di fare qualcosa per questi bambini e di lasciare una testimonianza che la ricordasse.
Ritornata nuovamente in Italia e contentissima per questo “miracolo”, ho cercato – senza troppi sforzi – di coinvolgere gran parte delle mie amiche tra cui Stefania – che mi ha aiutato fin da subito – e grazie alla quale, sosteniamo a distanza sia Francesca (io) che David (lei).
A conclusione di un terzo viaggio effettuato a Gennaio 2016 in cui è venuta con noi anche Stefania, abbiamo dato vita, una volta avviati i lavori, all’associazione “Il giardino dei bimbi” per poter “raccontare” agli altri i nostri intenti ed i nostri obiettivi.
Perché hai/avete scelto di dar vita ad un progetto di volontariato in un paese del Sud del mondo?
Tutto ciò grazie alla spinta di questo frate francescano congolese che, ogni estate per un paio di mesi circa, ritornava e ritorna nella sua casa e, grazie anche a Manuela che, a sua volta, era già stata un paio di volte con lui ed io invece, per problemi di lavoro – ahimè – avevo sempre dovuto declinare la partenza.
Qual è l’approccio della popolazione locale nei confronti dei volontari?
All’inizio, come biasimarli, sono un po’ restii al primo impatto. Quando poi comprendono che sei lì per loro … ti aprono il cuore.
C’è da dire inoltre e, ci tengo a sottolinearlo, che al di là di tutto sono: ospitali, accoglienti, sorridenti e “dotati”di occhi che si illuminano con un nonnulla.
Che obiettivi Vi prefissate?
I nostri obiettivi sono aiutare non solo i bambini orfani, ma anche gli anziani e i meno abbienti e ciò non necessariamente in Africa.
Al momento cerchiamo di portare a termine questa residenza per bambini disagiati anche se, il mio desiderio, è quello di dar vita ad una sorta di “famiglia allargata” ove ospitare anche anziani e mamme che non hanno nessuno e non sanno dove andare.
Il terreno edificabile è molto grande, circa due ettari di terra, quindi il progetto prevede non solo di accogliere, ma col tempo, anche di insegnare loro a coltivare la terra, allevare gli animali ed imparare un mestiere.
Quali sono i “requisiti” richiesti ai volontari dell’associazione?
Tanta voglia di fare ed soprattutto un gran cuore.
Cosa hai riportato a casa da questa esperienza?
La mia vita, non ti nascondo, che un po’ è cambiata. Nulla è più come prima.
Ho imparato che qui abbiamo tanto, troppo e, non siamo mai contenti, soddisfatti.
Viviamo perennemente alla ricerca di qualcosa, lì invece pur non avendo nulla, la felicità predomina. Sono esperienze forti che consiglierei di fare.
Ogni giorno, sento l’esigenza di andare poiché proprio lì, ho riscoperto il senso della vita, proprio lì ho trovato tutto in quel niente.
Se l’esperienza di Pina, Stefania e del loro staff vi ha colpito ed emozionato e siete interessati a saperne di più sull’argomento, potete mandare una mail a: [email protected] e, come asseriva il testo della canzone “Rinnovamento nello Spirito” del 2012 che riecheggiava nella stanza ove è stata sviscerata l’intervista: “l’uomo che confida in Te non è deluso, se tutto sembra perso innalzo gli occhi al cielo, Dio so che nulla posso io, Dio ogni cosa affido a Te” …
Scupola Giovanni Maria
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