La situazione che molti infermieri vivono in svariate realtà pubbliche italiane assume, giorno dopo giorno, contorni sempre più drammatici.
Un’infermiera operante presso il Centro Medico di Riabilitazione (CMR) dell’ospedale Sant’Agata dei Goti, invia una toccante lettera alla redazione di ntr24.tv. La situazione descritta rispecchia alla perfezione la realtà infermieristica italiana dove molti dipendenti vantano diverse mensilità arretrate.
“Ventisei anni di onorato lavoro. Quando mi si chiede “che professione fai?” con orgoglio rispondo che faccio del bene per mestiere e mi pagano pure per questo. Un lavoro usurante, un lavoro che ti logora l’animo a contatto con la sofferenza e quando la stanchezza e la tristezza vogliono prendere il sopravvento ed hai voglia di lasciar perdere tutto vai avanti pensando che è si un lavoro duro, ma qualcuno lo deve pur fare ed allora è meglio che continui a farlo perché lo faccio con umanità ed amore.
Siamo lavoratori privilegiati, dispensiamo sorrisi e amorevoli cure. Ci occupiamo delle persone che soffrono, dei loro familiari mettendo da parte le nostre preoccupazioni per una sorta di deformazione professionale tutti devono star bene intorno a noi. E’ cosi che svolgo il mio lavoro, è così che mi guadagno da vivere, facendo il mio dovere con grandi soddisfazioni e gratificazioni.
O quanto meno era così fino a qualche anno fa quando lavoravo in una delle migliori cliniche di Roma.
In 16 anni ho conosciuto politici, giornalisti, attori, baroni, contesse e principi ed io – che credevo che i regali fossero ormai estinti e reclusi nei libri di favole – ho conosciuto un mondo assolutamente immerso nella ricchezza. Ho frequentato case e palazzi lussuosissimi per lavoro, ma non mi sono mai montata la testa, non ho chiesto mai alcun tipo di favore ed ho svolto sempre il mio mestiere con umiltà ed orgoglio. Sono un’infermiera ed una persona sofferente al di la del rango e del patrimonio va aiutata nei suoi bisogni fondamentali.
Ora lavoro in un centro di riabilitazione, i miei pazienti non sono altolocati persone semplici lavoratrici: Caterina, Concetta, Assunta, Giuliettino e tanti altri che porto nel mio cuore. Rispetto ai pazienti altolocati conosciuti in precedenza posso osare un abbraccio, una carezza, un bacio e mi piace coccolarli come se fossero bambini ed in realtà molti di loro lo sono. Ho conosciuto altre patologie rispetto al lavoro precedente in una chirurgia specialistica, ho conosciuto i coma vegetativi, gli ictus, l’Alzheimer, la demenza senile, la lunga degenza e se il mio lavoro precedente era faticoso rispetto a quest’ultimo era una passeggiata, ma non per questo l’amo di meno al contrario la sofferenza è a 360 gradi.
Ti rendi veramente conto di quanto sia indispensabile il tuo operato e dal primo giorno da allieva che sono entrata in un reparto non ho mai potuto fare a meno di vedere in un corpo sofferente o sfigurato o un padre, una madre, un figlio, una sorella. Ho rispettato sempre tutti ed ancora di più quando anch’io ho conosciuto la sofferenza più atroce, veder consumare mio padre da una brutta malattia e quando ho vissuto dall’altra parte non contavano per me gli errori che di certo non mancavano degli infermieri azzeravo tutto quando loro sorridevano a mio padre. La professionalità è essenziale nel nostro lavoro, ma deve andare di pari passo con l’umanità. Questa sono io: un’infermiera che ama il suo lavoro a contatto con la sofferenza e la morte, ma che non ha mai smesso di elargire sorrisi e accudire.
Abituata a prendersi sempre cura degli altri non ho mai imparato a prendermi cura di me stessa ed oggi che sto impazzendo e che mi sento al limite non so come aiutarmi, sono alla disperazione. Difficile anche a lamentarsi per il vile denaro, non aspiro alla ricchezza, non ho mai fatto passi più lunghi del necessario per vivere dignitosamente mi bastava il mio stipendio e da quando ho cambiato struttura sono indebitata fino al collo e devo rinunciare a tutto.
Mi sono indebitata per mantenermi il posto di lavoro, non percependo lo stipendio regolarmente mi sono ritrovata con bollette arretrate, tasse e mutui accantonati, affitti insolventi, assicurazioni e bollo d’auto ed ecco la richiesta del primo finanziamento e come un circuito chiuso la seconda richiesta per assolvere al pagamento dello stesso più le altre spese che ogni mese si ripresentano e non poter pagare niente e nascondersi dai padroni di casa che a fine mese non vogliono ragioni.
Affrontare due traslochi perché ti senti una delinquente o quanto meno ti ci fanno passare e non rispondere alle telefonate e ignorare le notifiche delle agenzie di riscossione crediti e riuscire a mangiare perché hai una mamma che con 600 euro di pensione non ti fa mancare un pezzo di pane e chiedere piccoli prestiti per la benzina alle sorelle e sapere che quando poi arriva lo stipendio non sai a chi darlo prima e non basta per tutti.
Questa situazione logorante che ti priva di tutto, che ti fa vivere nell’angoscia moltiplicata per quasi nove anni diventa invivibile. E a chi mi dice se non ti sta bene te ne vai, rispondo che io porto la mia professionalità in cambio di uno stipendio per vivere dignitosamente non chiedo cose trascendentali. Credo che sia un diritto di tutti o forse nessun altro lavoratore ha la mia stessa necessità. Io vivo esclusivamente di quello e questa non è una mia colpa”.
La testimonianza condivisa dalla collega farà sicuramente affiorare sentimenti contrastanti nelle persone che la leggeranno. Molti infermieri avranno vissuto situazioni sovrapponibili alla sua. Ci auguriamo tuttavia che le condizioni lavorative e salariali possano migliorare prima o poi anche se, allo stato attuale delle cose, potrebbe sembrare molto complicato.
Simone Gussoni
Fonti: ntr24.tv
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