Egregio direttore,
mi chiamo Annarita sono infermiera da 15 anni circa, le scrivo per esporre e condividere, con i miei colleghi, un sentimento penso comune a tanti, in questo attuale momento emotivamente duro in cui ci troviamo ad operare.
Quando sul posto di lavoro la nostra insoddisfazione e i nostri malumori non sono legati a un episodio, ma diventano un “rumore di fondo” che mina il nostro benessere, forse è giunta l’ora di chiedersi a malincuore se davvero vale la pena continuare a seguire il percorso lavorativo intrapreso.
Siamo lavoratori privilegiati perché possiamo lavorare dispensando sorrisi e amorevoli cure, occupandoci delle persone che soffrono, di chi gli sta attorno, però mentre fai ciò da tanti mesi oramai nella testa ronza un pensiero fisso: a noi infermieri chi ci pensa? Chi si occupa di noi, di noi come persone, perché a discapito di quanti possano pensare che nel percorso di studi ci facciano fare un corso sui poteri magici per sopravvivere a tutto e tutti, siamo persone umane. Siamo donne, uomini che ogni giorno quando poniamo la mano su quel badge per timbrare l’entrata, riponiamo i nostri malumori, dolori, sentimenti confusi tra gioia di fare il proprio lavoro e insoddisfazione, nella stessa borsa in cui riponiamo il cartellino e ci prepariamo tra i mille problemi a fare il nostro dovere sempre a testa alta, con dedizione, professionalità.
Però dentro, nel nostro profondo, quando ritorniamo a timbrare quell’uscita ci riviene in mente tutto il malumore e il sentimento di abbandono da parte di tutti che si ha, rendendosi conto che poco o niente importa degli effetti nefasti che tale lavoro nelle condizioni attuali, ha sulla salute dei professionisti sanitari.
La contraddizione che caratterizza il lavoro infermieristico è che in Sanità si spendono migliaia di euro per i dispositivi di sicurezza del lavoratore, si argomentano tutti i giorni e in tutte le salse discussioni in cui ricorre più volte la parola sicurezza, ma poi nel concreto a nessuno interessa se l’infermiere è stanco, non ha dormito nemmeno un’ora prima di affrontare un turno di notte, anche due come spesso accade (perché sempre per non dimenticare fuori da quella divisa siamo persone come tutte con figli, casa, impegni), se al rientro a casa ci si mette al guida di un mezzo, se si è in turno perché richiamati in servizio nell’unico giorno di riposo che si aveva, e ce ne sarebbero altri mille esempi da fare…
Con la scusa della applicazione della direttiva europea che doveva garantire un recupero psicofisico migliore, perché doveva garantire adeguati periodi di riposi, ci hanno preso in giro scombussolandoci le vite professionali e personali, facendoci ritrovare a lavorare in condizioni pessime prive di tutele, diritti e sicurezza. Pochi eravamo sul territorio nazionale e “più pochi” siamo diventati. Al sentimento di demotivazione economica perché sottopagati da tanti anni oramai si aggiunge questo sentimento di abbandono come persone non solo come professionisti. Che delusione questo mondo lavorativo attuale! Nonostante ami la tua professione più volte pensi ma chi me lo ha fatto fare!
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