Traduzione, ed adattamento al contesto sanitario italiano, dell’articolo della collega americana Liane Clores, infermiera di terapia intensiva, scritto per “Nursingcrib”.
Gli infermieri sono esseri compassionevoli. Gli infermieri sono i supereroi di oggi. Gli infermieri salvano le vite. Gli infermieri sono ovunque, dall’ospedale al territorio, per i malati e con i malati. Gli infermieri sono pochi e tuttofare. Gli infermieri compensano le carenze.
Quando si parla di infermieri sono queste le frasi che vengono più spesso in mente alle persone, che siano infermieri o che non lo siano. Tuttavia ciò che altri dimenticano di ricordare è che anche gli infermieri si stancano.
Ogni giorno ci troviamo di fronte a situazioni stressanti. Ci troviamo ad affrontare collaboratori tossici e succhia-energie, carichi di lavoro sempre più pesanti a causa dell’assistenza da erogare ad un numero sempre maggiore di persone e a pazienti sempre più esigenti.
Il burnout infermieristico non è più una novità per la maggior parte di noi, e viene sempre più spesso trattato. Il termine “stanchezza da empatia“, (credo che non ci sia un altro modo per tradurre il termine “compassion fatigue” così come viene definito dagli anglosassoni) invece, ha cominciato ad emergere in questi ultimi anni.
Che cos’è la stanchezza da empatia?
La stanchezza da empatia è stata definita come una combinazione di esaurimento fisico, emotivo e spirituale associato alla cura dei pazienti, con dolore emozionale significativo e sofferenza fisica.
Secondo Joinson (1992), mentre descrive il concetto nel suo lavoro sul personale che si occupa di emergenza, “la stanchezza da empatia è una forma unica di burnout che colpisce gli individui nei ruoli di assistenza“.
Secondo Mcholm (2006), “anche se la capacità di essere compassionevole ed empatico è una qualità desiderabile che contribuisce a stabilire rapporti di fiducia e a far accrescere l’efficacia terapeutica con i pazienti, è esattamente ciò che rende gli infermieri più vulnerabili“.
Nel tempo, ciò che ci rende unici e che è considerato come uno dei nostri punti di forza – la compassione, può diventare un tributo emotivo intollerabile da pagare alla nostra professione.
Questo tipo di stanchezza porta l’infermiere a perdere la capacità di sperimentare la soddisfazione o la gioia professionale e/o personale. Da notare che la fatica da empatia non è una patologica mentale, ma è considerata una naturale risposta comportamentale ed emotiva a rapporti empatici, in cui è forte il desiderio di aiutare un’altra persona che soffre per un trauma o per un dolore.
I sintomi sono molteplici come detto. Vari autori hanno identificato i sintomi della fatica da empatia, tra tutti Figley (1995) e Gentry e al. (2004).
Questi sintomi possono includere sintomi correlati al lavoro e sintomi fisici e/o emotivi.
Sintomi correlati al lavoro:
- La voglia di evitare di lavorare con alcuni pazienti;
- La ridotta capacità di sentire l’empatia verso i pazienti o le loro famiglie;
- Il frequente ricorso a giornate di malattia;
- Mancanza di gioia.
Sintomi fisici:
- Mal di testa;
- Problemi digestivi: diarrea, costipazione, dolore allo stomaco;
- Tensione muscolare;
- Disturbi del sonno: incapacità di dormire, insonnia o sonnolenza;
- Fatica;
- Sintomi cardiologici: dolore al petto/senso di pressione, palpitazioni, tachicardia.
Sintomi emotivi:
- Sbalzi d’umore;
- Irrequietezza;
- Irritabilità;
- Senso di sovraccarico;
- Ansia;
- Uso eccessivo di sostanze quali: nicotina, alcol, caffè e droghe illecite;
- Depressione;
- Rabbia e risentimento;
- Perdita di obiettività;
- Problemi di memoria;
- Scarsa concentrazione, mancanza di giudizio critico;
- Affrontare la fatica dell’empatia.
Ogni infermiere è vulnerabile e soggetto a questo tipo di stanchezza in quanto ogni giorno si trattano pazienti diversi e con storie altrettanto diverse. Tuttavia, c’è un modo per intervenire e affrontare questo problema:
- Gestire al meglio le risorse disponibili sul posto di lavoro.
La maggior parte degli ospedali americani prevede un programma di assistenza ai dipendenti. Lo scopo di questo programma è quello di fornire ai dipendenti consulenza e supporto per problemi personali e/o di lavoro. In Italia siamo ben lontani dall’avere questo tipo di assistenza, tanto che assistiamo sempre più spesso all’abbandono della professione, quando questo carico emotivo diventa insostenibile.
Un mentore, un supervisore, un’infermiera esperta o un infermiere tutor che capiscano le aspettative di questi colleghi in difficoltà, può essere di aiuto per identificare le opportune strategie che contribuiranno a far fronte alla situazione attuale di lavoro.
Questi possono includere:
- cambiare reparto o il tipo lavoro, se possibile;
- avere più tempo libero, riducendo le ore di straordinario;
- Coinvolgere questi colleghi in progetti interessanti.
Creare un ambiente confortevole e rilassante in un luogo designato alle unità infermieristiche, che può essere fatto semplicemente trasformando una stanza disponibile in una zona relax.
Sviluppare strategie di auto-cura positive e rituali sani. I riti sani sono quelle attività a cui si partecipa regolarmente e che favoriscono il ritrovamento dei livelli di energia personali persi e l’aumento dei sentimenti di benessere.
Assicurati come infermiere di non trascurare, cercando di soddisfare le esigenze degli altri, le tue.
È importante che gli infermieri identifichino quelle strategie che possano promuovere il benessere fisico, emotivo e spirituale.
Rosaria Palermo
Fonte: nursingcrib.com
Lascia un commento