I cambiamenti demografici ed epidemiologici in atto da alcuni decenni hanno portato ad un progressivo invecchiamento della popolazione e quindi ad un aumento del numero dei pazienti anziani complessi affetti da patologie severe e comorbidità
Se poi consideriamo la politica sanitaria di contenimento dei costi e del blocco del turnover del personale ne consegue che è in aumento il numero dei pazienti a carico di ciascun infermiere; così come in numero maggiore il numero di attività e interventi assistenziali necessari ad ogni paziente.
E’ quindi indispensabile una programmazione delle attività definendo le priorità.
Ciononostante è inevitabile che alcune attività infermieristiche subiscano dei ritardi o vengano omesse. In altre circostanze, invece, alcune attività vengono attribuite al personale di supporto.
In particolar modo per tutte le attività assistenziali di base (igiene del paziente, mobilizzazione, aiuto nell’alimentazione) è diventato ormai abitudinario che vengano attribuite a operatori di supporto.
Questo, però, comporta una minore capacità di supervisione da parte degli infermieri dell’operato svolto dal personale di supporto aumentando il rischio di perdita delle cure.
Cosa si intende esattamente per cure infermieristiche perse?
Vengono definite come qualsiasi intervento infermieristico necessario al paziente che viene omesso completamente, parzialmente o rimandato ad un altro momento rispetto a quanto pianificato.
L’Agenzia Americana per la Ricerca e la Qualità della Salute (AHRQ) ha identificato due tipi di errore: gli errori correlati agli atti di commissione e gli errori correlati agli atti di omissione.
Le cure infermieristiche perse per definizione ricadono sotto quest’ultima categoria che, nonostante susciti meno clamore perchè più difficile da riconoscere, è la tipologia prevalente e quindi rappresenta un grosso problema per la pratica clinica.
Il fenomeno è stato ampiamente studiato negli Stati Uniti dove è emerso che è comune a tutti gli ospedali, sia come trend che come frequenza e tipologia e anche le cause che portano alla perdita di cure.
E’ inoltre dimostrato che la mancata erogazione di alcune cure infermieristiche è un forte predittore negativo dell’outcome del paziente.
Ad esempio, non aiutare i pazienti nella deambulazione o non effettuare la mobilizzazione ai pazienti allettati aumenta notevolmente il rischio di insorgenza di polmoniti, allunga i tempi di degenza, aumenta i livelli di dolore e c’è un maggior rischio di declino nelle capacità di esecuzione nelle attività di vita quotidiana; ancora, non aiutare le persone autosufficienti nell’alimentazione, aumenta il rischio di malnutrizione e di infezioni ospedaliere.
In Italia non c’è stato un grosso studio del fenomeno ad eccezione di un unico studio che ha evidenziato le stesse tendenze americane e ha indagato quali fossero i fattori predittivi che portavano alla perdita delle cure.
E’ interessante notare che nel 43% dei reparti la composizione del personale sanitario è a favore del personale di supporto e proprio la maggior quantità di cure erogate dallo stesso aumenta il rischio di perdita delle cure.
Diventa quindi indispensabile che l’attribuzione avvenga in modo adeguato.
Quali sono le cause che minano questa attribuzione inefficace?
Certamente l’inadeguato numero di personale sanitario, l’aumento inatteso del numero o delle condizioni critiche dei pazienti, l’assegnazione di un numero non bilanciato di pazienti a ciascun infermiere sono tra le cause maggiori.
Un’attenzione, però, va rivolta anche alla gestione della collaborazione del personale di supporto poichè una mancanza di supporto dai membri del team, un’omessa segnalazione da parte dell’operatore di supporto alle cure non fornite e la presenza di tensioni o comunicazioni interrotte tra personale infermieristico e operatori di supporto, sono anch’esse tra le cause di perdita di cure.
Le circostanze che portano all’attribuzione vedono gli infermieri impegnati in altre attività urgenti, complesse o che non possono essere demandate e non sempre riescono ad erogare tutti gli interventi di carattere maggiormente tecnico che richiedono competenze elevate; non riuscire a trovare un operatore disponibile in quel momento è l’unica circostanza che impedisce all’infermiere di attribuire un compito.
Gli operatori di supporto vengono scelti in base al possesso delle competenze e dell’esperienza necessarie ad eseguire il compito e all’esistenza di un buon rapporto personale e di fiducia con gli infermieri.
Gli studi internazionali condotti hanno rilevato quale dovrebbe essere la corretta percentuale delle diverse figure professionali all’interno di un’unità operativa, è emerso che non dovrebbe essere superato il 30% di personale di supporto rispetto agli infermieri.
Il contesto italiano si presenta in modo differente, cambia il rapporto tra regione e regione, ma anche tra aziende sanitarie della stessa regione, frutto di politiche sanitarie “schizofreniche”.
In alcuni contesti italiani si registrano presenze anche del 50% ed in altri in cui mancano totalmente figure di supporto.
Da qui si evince l’importanza di adottare un modello di attribuzione delle cure efficace al fine di mantenere il controllo dell’assistenza erogata in reparto ed è quindi necessario migliorare i metodi di verifica dei compiti svolti dal personale di supporto proprio perchè un mancato completamento del processo non solo non consente di avere la certezza della corretta esecuzione dello stesso ma aumenta anche il rischio di perdita di erogazione delle attività assistenziali a discapito della qualità dell’assistenza e della sicurezza del paziente.
Quali soluzioni potrebbero essere proposte?
Riorganizzare la programmazione delle attività condivise tra personale di supporto e infermieri consentirebbe una registrazione di quanto venga fatto con un maggior controllo del reparto.
E per le cure infermieristiche perse?
L’idea potrebbe essere quella di sottrarre il tempo investito in attività di tipo burocratico-organizzativo (richieste di visite specialistiche, registrazione di ricoveri e dimissioni), affidarlo al personale di segreteria dedicato e addestrato a farlo per riportare l’infermiere alla sua natura di partenza, cioè all’attività assistenziale e al letto del paziente.
Anna Arnone
Sitografia
Lascia un commento