Riceviamo e pubblichiamo le considerazioni del dottor Mauro Carboni.
Gentile Direttore,
intervenendo nella discussione intorno all’ipotesi di contratto del comparto sanità, appare chiaro che esiste un enorme scollamento tra quanto espresso dalla categoria infermieristica, anche attraverso le sue rappresentanze, e le posizioni dei diversi soggetti di parte pubblica.
Renzo Alessi, referente del comitato di settore Aran, in un’intervista pubblicata il 27 febbraio afferma che con le risorse a disposizione, “di più non si poteva” e che si tratta comunque di un “bel contratto”. Saverio Proia, consulente Aran per i contratti della sanità, contrastando la presidente del Coordinamento nazionale caposala, sostiene che per la prima volta nei contratti del Ssn si concretizza la possibilità di carriera professionale dell’infermiere, aggiungendo che prima a livello nazionale c’era il nulla, adesso c’è una norma da estendere e generalizzare in tutte le Regioni. La Commissione paritetica, dice Proia, potrà arricchire la potenzialità della norma.
In tutta sincerità, visti i contenuti attuali del contratto, sembra essere davanti a un contenitore tutto da riempire. Rispetto alle affermazioni del referente del comitato di settore, avendo letto l’ipotesi di contratto, non credo che le risorse a disposizione (estremamente inadeguate per tutti) siano state equamente ripartite. Secondo il principio dell’equità, chi ha più responsabilità, maggiore livello formativo, maggiori incombenze dovrebbe avere di più rispetto a chi ne ha di meno. Andando a guardare le tabelle degli aumenti, invece, emerge tutt’altro. Se poi misuriamo gli incrementi delle indennità ritoccate dal contratto, entriamo nell’ordine di qualche centesimo di euro!
Cosa ci sia di “bello” in tutto questo proprio non si comprende. Il fatto che al personale di assistenza in h24 sia stato negato un orario settimanale di 35 ore, in luogo delle 36 attuali, non è una buona cosa, se si pensa che altri settori della pubblica amministrazione hanno raggiunto questo obiettivo già da molti anni. Peraltro avrebbe risolto un problema che a tutt’oggi grava sulla salute degli infermieri, quello dei cosiddetti rientri fuori turno.
Spremere chi è dedito all’assistenza giorno e notte, con tutti gli effetti che tale turnazione genera sui ritmi circadiani e, quindi, sulla salute del dipendente, oggettivamente non è buono né per l’infermiere né per le persone assistite. Aver introdotto una norma che rende lo straordinario obbligatorio (art. 31: “Il lavoratore, salvo giustificati motivi di impedimento per esigenze personali e familiari, è tenuto ad effettuare il lavoro straordinario”) cozza contro la definizione di “buon contratto” di Alessi. Nel precedente contratto tale norma era assente.
Interrompere le 11 ore di riposo continuativo previste dalla legge, nell’arco delle 24 ore, per partecipare a riunioni o perché chiamati in pronta disponibilità, non è sinonimo di buon contratto. Il non aver riconosciuto almeno 30 minuti per il passaggio delle consegne e le operazioni di vestizione, svestizione (obbligatorie ed etero-dirette), ma solo 15 complessivi (art. 27), elevabili di ulteriori e complessivi 4 minuti in situazioni particolari (art. 8), mostra palesemente il digiuno conoscitivo sul lavoro infermieristico di chi ha voluto questi tempi. Il richiamo ad accordi di maggior favore, laddove esistenti, per il riconoscimento di tempi più ampi, sarà solo foriero di conflitti e contenziosi con le aziende, oltre a creare differenziazioni di trattamento da azienda ad azienda.
Evitando una disamina complessiva in questa sede, cito solo un ultimo tema, la contrattazione integrativa a livello aziendale (art. 8). In quella sede saranno oggetto di trattativa i criteri di ripartizione delle risorse disponibili e le diverse modalità di utilizzo all’interno di ciascuno dei due fondi di cui agli artt. 80 e 81 (fondo condizioni di lavoro e incarichi e fondo premialità e fasce). L’eventuale elevazione dell’indennità di pronta disponibilità sarà possibile con onere a carico del fondo di cui all’art. 80; lo stesso dicasi per l’indennità di lavoro notturno.
In questo modo il Contratto nazionale, non prevedendo coperture economiche ad hoc, come avrebbe dovuto, ha creato le condizioni per scaricare il problema sulle singole aziende. Si potrà verificare che le stesse indennità siano retribuite diversamente tra un’azienda e l’altra, e comunque sempre con oneri a carico dei fondi, anch’essi non soddisfacenti, riservati alla contrattazione aziendale. Insomma, una vera e propria devolution contrattuale.
Rispetto a quanto affermato dal dottor Proia, ritengo di non poter condividere la sua ottimistica visione poiché questo nuovo contratto contiene tutti i limiti della frettolosità. Vuole essere la “medicina buona”, quella che si prende per guarire i mali. Quella medicina che si è disposti a somministrare e a ricevere nell’interesse generale della salute, nonostante i suoi effetti collaterali. Questo contratto, ahimè, ha solo un cattivo sapore e, purtroppo, non risolverà alcun problema ma, al contrario, ne creerà moltissimi.
La risposta della comunità professionale infermieristica è chiara. Non considerarla o snobbarla, come se gli infermieri fossero pazzi, incompetenti o semplicemente corporativi, acuirà gli effetti negativi. Fare un nuovo contratto “tanto per” non è mai una scelta intelligente. Dopo nove anni, attendere anche altri sei mesi non avrebbe scandalizzato neanche la Corte Costituzionale! Se poi la scelta è stata forzata dall’uscente Governo, nella speranza di spendersi la cosa alle elezioni politiche, mai assistito scelta più infelice.
La commissione paritetica, citata come fosse la panacea dei mali di un contratto frettoloso, incompleto e all’insegna della flessibilità selvaggia a danno del personale di assistenza, non ha né il potere né lo spazio, quand’anche lo volesse, di rimediare agli strafalcioni dell’ipostesi contrattuale sottoscritta. Il sistema delle carriere richiamato prevede incarichi di funzione, denominati di organizzazione e professionali, che, anche se disciplinati dopo l’intervento della suddetta commissione, non riusciranno a recuperare le carenze concettuali e normative che avrebbero dovuto essere colmate prima della sottoscrizione.
Nell’ambito degli incarichi di organizzazione (coordinamenti e “altri di maggiore complessità” (?), poiché non si fa più menzione delle posizioni organizzative), come già sottolineato da autorevoli voci in ambito sanitario e giuridico, non si comprende dove sia finita la loro responsabilità in materia di gestione delle risorse umane, uno degli elementi più importanti, fino ad oggi, per poterle graduare (Luca Benci, Quotidianosanità.it – 28 febbraio 2018). Anche volendo glissare sulla temporaneità degli incarichi organizzativi, che comunque avrebbero potuto (il coordinamento in particolare) essere valutati periodicamente senza identificare un limite alle possibilità di riconferma, rispetto agli incarichi professionali la provvisorietà è assolutamente ingiustificabile.
L’errore sta proprio nel fatto che il Comitato di settore abbia previsto l’invarianza del profilo giuridico per realizzare la carriera professionale degli infermieri. Parlare di sviluppo di carriera in ambito clinico-assistenziale, poiché di questo si tratta, rinunciando a connotare giuridicamente il professionista come esperto o specialista in una determinata area assistenziale, previo il possesso dei requisiti e il superamento di una selezione, equivale a mortificare il significato stesso di “carriera”.
L’esperto, letteralmente, è uno che ha acquisito una lunga pratica in un determinato campo, un’approfondita conoscenza di un determinato argomento di studio o di lavoro. È un soggetto competente, di provata abilità. Oggi tale esperienza, per gli infermieri, è addirittura richiesta dai giudici o dalle parti in lite, per fornire un parere tecnico intorno a una questione controversa (CTU-CTP). È una persona alla quale, per motivi di professione e/o competenza ed esperienza su una data materia, viene richiesto di fornire pareri scientifici su argomenti di dettaglio. C’è da domandarsi come sia possibile che un esperto in una determinata area assistenziale diventi non esperto qualche anno dopo.
Siamo davanti a un evidente e grossolano errore concettuale, una contraddizione in termini! Mi domando come si faccia, nel caso dell’esperto e dello specialista, a concordare con la visone degli incarichi proposta dal Comitato di settore, considerato che essi, per definizione, sono a termine. La verificabilità della performance dell’esperto avrebbe dovuto rientrare nell’ambito del sistema di valutazione aziendale attraverso l’individuazione di indicatori specifici, esattamente come accade o dovrebbe accadere per tutti i dipendenti, ognuno al proprio livello di appartenenza e nel ruolo che ricopre.
Davanti a cotanta precarietà, come è possibile definire garantista, verso il professionista, il concetto sviluppato nell’ipotesi di intesa contrattuale? A me sembra solo che, quando in discussione ci sono gli infermieri, tutto diventa più difficile. Come mai nel contratto della dirigenza medica tutte queste “precauzioni” o prevenzioni non sono presenti? Addirittura lì sono tutti stabilmente specialisti e tutti stabilmente dirigenti! (?)
Non è difficile desumere che il celato scopo di questa architettura contrattuale è quello di garantire la sopravvivenza, in capo agli infermieri, di una barbara fungibilità che fa da salvagente all’ostilità di programmare fabbisogni specifici e di realizzare modelli di organizzazione del lavoro rispettosi degli specifici mandati professionali e delle singole specialità. Quanto espresso circa la figura dell’esperto vale, ovviamente, anche per lo specialista, con l’ulteriore vantaggio (anche questo completamente ignorato dai proponenti) che la sua individuazione è data da una legge dello Stato (L.43/06), che ovviamente per gli infermieri continua a rimanere mutilata.
Per chiudere, riallacciandomi ad alcune affermazioni pocanzi citate (“prima a livello nazionale c’era il nulla, adesso c’è una norma contrattuale”; “il processo di valorizzazione e di implementazione delle competenze professionali che va esteso e generalizzato in tutte le Regioni…”), vorrei sottolineare che gli incarichi professionali (art.16) verranno istituiti se e come previsti nell’organizzazione aziendale. È facile immaginare come sia potrà, in un paese come l’Italia, in cui esistono tanti e diversi servizi sanitari quante sono le regioni, far valere tout court la norma contrattuale ed estendere e generalizzare questo modello, non in tutte le regioni, ma in tutte le aziende d’Italia!
Dott. Mauro Carboni
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