Riceviamo e pubblichiamo l’amara riflessione di una collega a cui viene negato il diritto alla mobilità, che le avrebbe permesso di ricongiungersi ai suoi familiari.
Mi chiamo Rosa, sono un’infermiera campana, fuori regione da quasi dieci anni. Non sono un’infermiera qualsiasi, sono una professionista NON IDONEA alla mobilità per il Federico II di Napoli.
Dopo aver conseguito una laurea triennale, sedendomi per ben 54 volte davanti a una commissione esaminatrice, dopo aver vinto un concorso pubblico, superando con le mie forze tre prove d’esame, dopo un esodo che dura da quasi dieci anni, fatto di sacrifici ma anche di tante soddisfazioni e riconoscimenti per il mio lavoro, oggi sono un’infermiera NON IDONEA a lavorare presso una struttura della mia regione.
Se dovessi descrivere con una parola quello che provo e che ho provato, vedendo affissa al muro la mia sentenza, quella parola sarebbe “frustrazione”, quella parola sarebbe “rabbia”, quella parola sarebbe “delusione”. Sono stata per nove ore in piedi davanti a una porta, senza mangiare, assorbendo la mia ansia e quella di chi prima di me saliva al patibolo. Con due domande rivolte da una commissione non composta da infermieri miei pari, ma da chirurghi e igienisti, hanno decretato il mio non essere idonea a tornare nella mia regione.
Quei sorrisi beffardi che vedevo davanti a me quando ho vacillato, stremata dall’ansia e dalle aspettative che avevo, dalle continue domande che portavano ogni mia risposta, seppur corretta, ad aprire un altro argomento, mi hanno fatto tornare a casa quasi col senso di colpa per non essere stata all’altezza di sostenerli.
Ho dovuto affrontare lo sguardo speranzoso di mio padre, ormai anziano, che riponeva in quel colloquio la speranza del mio ritorno dopo tanti giorni passati lontano. Ho dovuto affrontare lo sguardo dei miei figli piccoli, ai quali un domani non potrò dire: lavora e fai sacrifici, ché dopo la gavetta verrai ripagato. Li ho affrontati conservando la mia dignità di persona e professionista, e sono speranzosa che la giustizia farà il suo corso.
Redazione Nurse Times
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