Ha dovuto decidere se curare il cancro o portare avanti la gravidanza. Ha optato per la vita del figlio. E per la sua.
In 48 ore, tre anni fa, la trentunenne australiana Elle Halliwell scoprì di essere incinta di quattro settimane e di avere un tumore del sangue, la leucemia mieloide cronica. Il destino la mise di fronte a una scelta drammatica: curarsi o far nascere il proprio bambino, tanto desiderato. Lo ha raccontato in un libro, A mother’s choice.
«La mia gravidanza era appena all’inizio – racconta –. E anche il cancro era stato scoperto molto presto: non mi sentivo affatto malata. Ero molto disorientata, perché sapevo della mia condizione, ma non riuscivo a percepirla». Il medico le consigliò di non continuare la gravidanza e di iniziare subito la cura per sconfiggere il cancro. Ma le disse anche: «È una tua scelta». Elle aveva un paio di settimane di tempo per decidere: ne parlò col marito Nick, che aveva conosciuto 13 anni prima e con cui era sposata dal 2012: «Non avrei mai pensato che quel voto, “Prometto di esserti fedele sempre, nella salute e nella malattia di malattia”, sarebbe stato messo alla prova solo tre anni dopo».
Alla fine, Elle capì di non voler seguire il consiglio del medico e di voler combattere soprattutto per la vita di suo figlio. Non avrebbe interrotto la gravidanza e avrebbe cominciato le terapie aggressive solo dopo la nascita del bambino. Sapeva che i trattamenti contro il cancro avrebbero potuto compromettere la sua fertilità: «Dentro, però, mi sentivo spesso distrutta. Mi chiedevo continuamente se la mia decisione di continuare la gravidanza nonostante il consiglio del mio dottore fosse spregiudicata, stupida o entrambe le cose».
Eppure non vuole sentirsi dire di essere stata coraggiosa: «Se avessi già avuto un figlio, non so cosa avrei fatto, perché avrei dovuto pensare al suo futuro. Ma ho tenuto conto di tutte le circostanze in cui mi trovavo e anche della possibilità che forse, in futuro, non avremmo potuto avere un altro figlio. Anche questo ha influito nella mia decisione. Bisogna prendere in considerazione tutte queste cose, ed è per questo che voglio sottolineare che la situazione di ogni donna è diversa e che la scelta è molto personale».
Quando Elle confermò ai medici di voler tenere il bambino, le furono prescritte iniezioni quotidiane per cercare di tenere a bada il cancro per tutta la durata della gravidanza. L’idea di infilare un ago nella pancia durante la gestazione la preoccupava, ma andò avanti lo stesso, sperando che il suo bambino non ne risentisse. Quando finalmente nacque suo figlio Tor, Elle si concesse sei settimane per allattare al seno prima di iniziare la terapia intensiva contro il cancro: «Mi tiravo il latte tutti i giorni e riempii il congelatore. Poi, quando dovetti cominciare con i farmaci più aggressivi, mio figlio iniziò col latte artificiale».
Gli effetti collaterali della cura (eruzioni cutanee, dolori ossei e affaticamento estremo) erano difficili da gestire: «Sembrava una strana specie di incubo, ma avevo anche il mio bellissimo bimbo. Era tutto molto strano». Oggi che il cancro è “stabile”, Elle spiega: «Adesso non solo ho un bel bambino, ma mi sembra anche di conoscermi molto di più. Prima che succedesse tutto questo mi sottovalutavo. Penso che lo facciano molte donne: sottovalutano la propria forza finché non si trovano in una situazione in cui devono davvero mostrare chi sono».
Tor è un bimbo sano e pieno di energia, e va all’asilo nido. Elle ha le idee chiare: «Il mio sistema immunitario non è più quello di una volta: prendo ogni piccolo virus. Ma vorrei continuare a curarmi fino a rendere il tumore non più rilevabile». Intanto si sente appagata, perché ha abbastanza energia da riuscire a prendersi cura del figlio. Ha anche iniziato a studiare i principi della nutrizione ed è decisa a imparare tutto quello che c’è da sapere per migliorare la sua salute e quella della sua famiglia.
«Quando ho dovuto decidere – conclude –, sapevo che, indipendentemente dal risultato, non sarei mai più stata la stessa persona di prima. Quella che sono diventata ora, però, mi piace molto. Ho le cicatrici della maternità. Ho una pancia più morbida, sottili rughe di espressione scolpite sulla fronte da un bambino vivace e un seno su cui si vedono gli effetti del breve periodo in cui ho allattato mio figlio prima di iniziare il trattamento più aggressivo contro il cancro. E sono più paziente e gentile. Ma ho anche una calma e ferma determinazione, che nulla può minacciare».
Randolfi Massimo
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