Si chiamava Razan Ashraf al-Najjar ed era al lavoro in una postazione di medici e paramedici a Khan Younis.
Gaza, decima settimana della Great Return March – “Da Gaza ad Haifa: un solo sangue, un solo destino”. Si tratta di una marcia pacifica messa in atto da milioni di rifugiati palestinesi per tornare nella terra d’origine. Pacifica, sì. Peccato che siano già 100 i feriti finora, di cui 40 colpiti da proiettili veri. Più una martire: l’infermiera Razan Ashraf al-Najjar, 21 anni, uccisa quando i cecchini israeliani hanno sparato contro una postazione di personale sanitario, tra cui medici ed infermieri al lavoro a Khan Younis.
Uccisa a sangue freddo con un colpo al petto. Non era mancata mai, Razan. Ogni venerdì aveva offerto il suo aiuto, i suoi sorrisi… le mani sporche di sangue dei feriti che soccorreva. Instancabile, è stata vista inalare il gas tossico dei lacrimogeni, lavorare con una mascherina per respirare pur di tenere fede alla sua missione.
Sui giornali, probabilmente, non leggerete di Razan, ma degli scontri al confine tra Gaza e i territori occupati nel ’48. Eppure Razan, oltre a essere una giovane donna palestinese, era un’infermiera, non un pericolo per i cecchini. E avrebbe dovuto essere protetta dalla IV Convenzione di Ginevra. Ma Israele ha ignorato la norma di diritto internazionale, macchiandosi di un crimine che porta il nome, il volto, il sorriso di Razan.
Fonte: www.lantidiplomatico.it
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