Stando alla sentenza, non è in discussione la valutazione professionale, bensì la necessità di non generare una spesa farmaceutica fuori controllo.
La Corte dei conti, sezione regionale per la Puglia, ha condannato per danno erariale un medico di famiglia responsabile di aver posto per due anni (dal 2009 al 2011) a carico del Servizio sanitario nazionale un farmaco, il Clasteon, che sarebbe dovuto essere invece a carico del paziente, producendo un danno da circa 56mila euro.
È la prima volta che una sentenza del genere viene emessa in Puglia e ha fatto clamore perché il condannato è Guglielmo Facchini, 65 anni, di Molfetta, medico di base a Ruvo noto come “il medico dei clandestini” per aver dichiarato la disponibilità a curare gli immigrati a prescindere dal loro status giuridico.
Secondo i giudici contabili, la prescrizione indebita non sarebbe avvenuta per realizzare un profitto personale, ma per “comprensibili intenzioni curative e non speculative”, cioè per dare una mano ai pazienti, visto che si tratta di terapie molto costose. Per questo, e anche perché era stato ammesso al patteggiamento (pur senza usufruirne), Facchini è stato condannato a risarcire “solo” 23mila euro, ossia metà del danno.
Dal punto di vista amministrativo, quella del Clasteon a carico del Ssn è comunque una prescrizione illegittima, come aveva scoperto la Regione nel corso di un controllo, inducendo la Asl Bari a segnalare il fatto alla Corte dei conti. Il medicinale in questione, infatti, risulta a carico del Servizio sanitario solo in due casi: per il trattamento del morbo di Paget e delle osteolisi tumorali.
Tuttavia possiede pure altre proprietà – favorisce la ri-mineralizzazione delle ossa – e può essere utilizzato off-label, cioè al di fuori delle indicazioni terapeutiche, per la cura dell’osteoporosi, ma in tal caso è a pagamento (su ricetta bianca). Le verifiche della Regione hanno invece accertato che Facchini prescriveva il Clasteon su ricetta rossa, richiamando la nota Aifa n. 42, che ne permette appunto la dispensazione a carico del Servizio sanitario. Non avrebbe dovuto farlo.
“L’apposizione, da parte del medico di base, delle note Aifa – si legge nella sentenza – presuppone necessariamente il riscontro di una patologia rientrante tra quelle ivi previste da parte di un medico specialista, il quale indicherà egli stesso la pertinente nota, che verrà poi riportata dal medico di medicina generale sulla ricetta ‘rossa’, successivamente esibita dal paziente in farmacia e da questa spedita al settore farmaceutico di riferimento”.
A differenza di quanto avveniva all’epoca, oggi il meccanismo è completamente informatizzato. Almeno in via teorica, quindi, la Regione è in grado di far emergere le prescrizioni inappropriate in tempo reale. Le regole generali, però, continuano a valere, perché il medico di base, pur avendo un rapporto di convenzione con la Asl, è un pubblico ufficiale, e il ricettario rosso (che equivale a un libretto degli assegni) è un atto pubblico, su cui non si può dichiarare il falso. Quando prescrive un medicinale off-label – ricordano i giudici contabili – il medico lo fa “in scienza e coscienza, e previo consenso informato del paziente”, ma non a spese della collettività.
La stretta della Regione Puglia sulle prescrizioni inappropriate ha provocato una vera e propria sollevazione da parte dei medici. Ma il punto non è la valutazione professionale, che resta insindacabile, bensì la necessità di non generare una spesa farmaceutica fuori controllo, della quale si può essere chiamati a rispondere in prima persona.
Redazione Nurse Times
Fonte: www.lagazzettadelmezzogiorno.it
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