Il direttore sanitario del Villa Salus, a 84 anni compiuti, tre volte a settimana si reca in sala operatoria per coprire il turno da anestesista. Questo perché i rianimatori sono sempre di meno: «È una professione rischiosa. Tanti scelgono di cambiare specialità». Ex carabiniere, «sono medico perché non volevo deludere papà.»
«So bene quando smetterò di fare l’anestesista in sala operatoria: sarà all’arrivo di quell’istante esatto in cui non sarò più curioso, quando non avrò più voglio di imparare, di stare sui libri, di smanettare sul web per aggiornarmi sui nuovi studi, sui farmaci, le terapie. Sono severo con me stesso e non avrò difficoltà a riconoscere l’attimo in cui dovrò chiudere baracca: ma per ora continuo a entrare in sala operatoria sereno e tranquillo, affidandomi alla mia esperienza e al mio bagaglio culturale».
Gianfranco Giron — «84 anni compiuti a dicembre» — è un professore di Anestesia e Rianimazione dal curriculum sterminato. Tre volte a settimana, racconta al Gazzettino che lo ha intervistato alcuni giorni fa, si occupa «delle anestesie in interventi di chirurgia generale, ginecologia, ortopedia: guardo la cartella clinica del paziente e poi decido la somministrazione dei farmaci».
Padovano di indole veneziana — «ho imparato a nuotare nel Canale della Giudecca» —, due figli e un nipote 14enne, Giron è direttore sanitario di Villa Salus, ospedale del Mestrino. Si definisce «un tappabuchi, oramai va così da anni: il fatto è che oggi non ci sono anestesisti e io, che mi ricordo ancora come si fa, resto utile». Ma perché mancano questi specialisti? «È una carenza endemica — spiega il professore, presidente della Società italiana di Terapia intensiva e direttore della Scuola di specializzazione in Anestesia e Rianimazione — dovuta al fatto che in questa professione serve un livello di concentrazione altissimo ed è vietata ogni sbavatura, anche un errore infinitesimale. Ti muovi sul crinale tra vita e morte». Da professore, Giron ha «formato almeno 50 anestesisti all’anno: ma di questi almeno la metà a un certo punto ha deciso di cambiare mestiere. Non è un fatto di soldi, si sono semplicemente detti: “ma chi me lo fa fare?”. E hanno scelto specialità più tranquille». Si lascia per la fatica «di sentirsi gravati da un rischio superiore a quello che è normalmente accettabile. Rischi che, tra l’altro, hanno costosissime coperture assicurative per responsabilità civile».
Giron è diventato medico «per non deludere mio padre, dirigente di banca alla Comit. Dopo essermi diplomato al classico sognavo di studiare fisica, ma papà mi voleva con il camice bianco. Non sono riuscito a dirgli di no». All’anestesia è arrivato per caso: «Dopo la laurea con il massimo dei voti svolsi il servizio militare nei carabinieri. Naia semplice, nel Nord-Est, della durata di due anni: proprio il tempo che serviva per la specializzazione in Rianimazione». «Di giorno c’erano le esercitazioni militari — è il ricordo del professore — assai faticose perché quelli erano gli anni della Guerra fredda e io ero impiegato in un reparto operativo. E la sera stavo sui libri, a studiare». Il momento più bello in sala operatoria? «Ne rammento tanti: a partire da quando cominciammo a fare, negli anni Sessanta, i primi interventi con la circolazione extracorporea. Poi fu la volta dei trapianti. Rene, fegato, cuore: tanti pazienti hanno continuato a scrivermi lettere di ringraziamento per anni. Le serbo tutte, rappresentano ricordi ed emozioni che non si cancellano».
Come non si cancellano certi istanti in sala operatoria: «Quelli in cui nonostante la buona volontà il risultato si rivela infausto. Le cose che vanno bene le dimentichi ma ricordi ciò che è andato male: qualcosa che resta scolpito nell’anima». Il professore tira un sospiro, poi scherza sull’età: «Sbagliamo a contarla in anni. Ci vorrebbe qualcosa di meno convenzionale: io proporrei il colore dei capelli che cambia…».
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