Il nuovo protocollo prevede che ‘infermiere del triage prenda in carico la paziente, accompagnandola fino alla dimissione e all’aggancio con i servizi del territorio.
Negli ospedali padovani nasce il “codice rosa”, un percorso riservato alle donne vittime di violenza e ai loro figli che arrivano in pronto soccorso. Sono stati uniformati gli iter già presenti nelle diverse strutture ospedaliere di Padova (Sant’Antonio), Cittadella, Camposampiero, Piove di Sacco e Monselice. Il percorso codificato prevede visita medica, consulenze specifiche, segnalazione ai servizi sociali, consulenza medico-legale e denuncia al posto di polizia, valutazione del rischio alla dimissione.
«Abbiamo approvato la nuova procedura unica di accoglienza delle donne vittime di violenza – spiega il direttore generale Domenico Scibetta –, frutto del lavoro congiunto dei servizi ospedalieri e territoriali maggiormente coinvolti nella presa in carico delle donne vittime di violenza, che uniforma le prassi già in essere. I pronto soccorso di tutti i nostri ospedali lavoreranno in maniera uniforme, secondo modalità codificate che prevedono l’accoglienza della donna in luoghi dedicati e la riduzione dei tempi di attesa, con l’attivazione di percorsi preferenziali e specifici per le diverse tipologie di violenza subita».
Nel 2018 i pronto soccorso della Ulss 6 hanno registrato un totale di 364 accessi di donne vittime di violenza, con diagnosi che riguardano molteplici tipologie di trauma fisico, ma anche psicologico. «“Codice rosa” è una definizione informale che identifica la problematica – specifica Maurizio Chiesa, direttore del Pronto soccorso del Sant’Antonio –, ma non è un nuovo codice colore inserito al triage». L’infermiere del triage prende in carico la persona che ha subito violenza, accompagnandola fino alla dimissione e all’aggancio ai servizi del territorio. In caso di rischio per l’incolumità della donna, accanto alla segnalazione al Centro antiviolenza, in attesa del reperimento di un luogo sicuro, è prevista anche la possibilità di un temporaneo ricovero.
«La procedura – continua il Scibetta – si inserisce all’interno delle azioni e degli strumenti di cui l’Ulss 6 Euganea, da sempre attenta al fenomeno, si è dotata per rispondere alle necessità di tutela delle donne vittime di violenza. Particolare attenzione è stata data nel tempo alla formazione del personale direttamente coinvolto nell’accoglienza della donna, all’adozione sia di protocolli d’intesa con i centri antiviolenza presenti sul territorio».
Nel 2018, a Padova e provincia, ben 1.016 donne si sono rivolte al Centro Veneto Progetti Donna – Auser. Per la maggior parte di loro la violenza si è verificata all’interno di una relazione intima. Sono 475 le madri che hanno chiesto aiuto nel 2018, mentre 783 sono i figli minori coinvolti nelle situazioni di violenza. Secondo i dati Istat il dato sommerso, ovvero il numero di donne che non parlano della violenza subita, si attesta intorno al 92%. Dell’8% di donne che si rivolgono ai servizi, solo il 3,7% si rivolge ai centri antiviolenza, mentre il 12,8% non ne conosce l’esistenza.
Anche il report della Regione conferma la difficoltà da parte delle donne a far emergere la violenza subita attraverso le denunce alle forze dell’ordine: delle 3.256 donne prese in carico dai centri antiviolenza del Veneto, solo 835 (25%) hanno denunciato, e ciò significa che solo una donna su quattro denuncia la violenza. Il Centro Veneto Progetti Donna è l’associazione che gestisce i quattro centri antiviolenza riconosciuti nella provincia di Padova.
Redazione Nurse Times Fonte: Il Gazzettino
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