Sono 2.500 i dipendenti dell’Uls 1 interessati. Ciascuno potrebbe ricevere 3.500 euro.
Il tempo per indossare la divisa è orario di lavoro e va pagato. Lo dice la Cisl Fp di Belluno-Treviso che ha dato mandato all’avvocato Francesco Masini per proporre il ricorso al giudice del lavoro di Bellun al fine di recuperare gli arretrati del tempo speso dai lavoratori del comparto dell’Usl 1 per indossare e togliere la divisa nel periodo che va dal marzo 2019 all’agosto-settembre 2014. Cinque anni di “tempo tuta”, come sono definiti nel gergo giuridico i minuti di vestizione, non remunerato, che da una prima stima significano 3.500 euro da pagare a ciascun lavoratore. E considerando che i dipendenti del comparto dell’Usl sono 2.500 tra infermieri, operatori socio sanitari, tecnici, cuochi e fisioterapisti, alla fine, se ognuno facesse ricorso per recuperare gli arretrati, l’Azienda sanitaria dovrebbe sborsare 8,7 milioni di euro.
«Fin dalla pronuncia della corte di Cassazione del 1998 n. 3763 si afferma che il tempo tuta rientra nell’orario effettivo di lavoro, “ove tale operazione sia richiesta dal datore di lavoro, che ne disciplina tempo e luogo di esecuzione” – sottolinea Fabio Zuglian, segretario della Fp Cisl –. Questo tempo è quindi soggetto a retribuzione, visto che la divisa per il comparto sanitario non è solo strumento identificativo dell’azienda per cui si lavora, ma anche elemento di protezione da agenti esterni a tutela dell’igiene della persona del lavoratore e degli utenti. Tutti i dipendenti hanno impiegato negli anni, ogni giorno, almeno 20 minuti per indossare e dismettere la divisa e le calzature, senza aver ricevuto alcunché per il tempo di vestizione. Risulta, quindi, palesemente illegittimo il mancato computo all’interno dell’orario di lavoro del tempo impiegato per questo».
Prosegue Zuglian: «Faremo partire la vertenza da marzo di quest’anno e poi a ritroso fino a settembre-agosto 2014, visto che gli anni più lontani sono entrati in prescrizione. Infatti ricordiamo che dal 1° aprile di quest’anno è stato applicato il contratto collettivo nazionale firmato nel 2018, che prevede il riconoscimento monetario del tempo tuta. Per cui la nostra richiesta è antecedente a questa data».
Ma il segretario della Funzione pubblica evidenzia come il contratto del 2018 valga soltanto per il personale sanitario, come infermieri e operatori socio-sanitari, fisioterapisti, ma non cuochi e operai. «Se anche queste categorie aderissero alla nostra vertenza – precisa l’avvocato Francesco Masini –, non solo potrebbero vedersi pagare i 3.500 euro, ma si arriverebbe al riconoscimento giuridico di questo diritto da qui in avanti. Quindi sarebbe nel loro interesse. Siamo di fronte ad un principio per cui, se il datore di lavoro mi impone per lavorare una divisa, il tempo che impiego per indossarla e toglierla va considerato all’interno dell’orario di lavoro e quindi pagato».
La Cisl, quindi, offre gratuitamente il proprio appoggio a chi vorrà aderire a questa vertenza. «Il supporto lo daremo solo a chi è nostro iscritto – sottolinea Zuglian -. Questo ricorso è già stato portato avanti contro l’Usl di Vicenza e il risultato è stato positivo. Anzi, là non si è nemmeno arrivati al tribunale, ma l’Azienda sanitaria ha siglato un accordo sindacale».
Nei giorni scorsi, intanto, sono partite le assemblee nei singoli ospedali provinciali: prima Agordo, poi Pieve di Cadore e ieri Feltre. Oggi, alle 14:30 è toccato al San Martino. «La gente è interessata – sottolinea Mario De Boni, della Fp Cisl –. All’inizio è un po’ scettica, ma quando gli spieghiamo che questo è già accaduto a Vicenza e che comunque è un passo importante per vedere riconosciuto un loro diritto. Allora si fanno più partecipi. Abbiamo iniziato, infatti, a raccogliere già diverse adesioni».
Redazione Nurse Times
Fonte: Corrire delle Alpi
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