Durante l’emergenza coronavirus è aumentata la presenza in corsia di una figura molto particolare. In California ha aperto anche una scuola che sforna simulatori.
Finti pazienti, mandati negli ospedali per mettere alla prova la preparazione di medici e infermieri. Veri e propri attori, simulatori, la cui diffusione è aumentata notevolmente negli ospedali degli Stati Uniti durante l’emergenza coronavirus. In realtà, non si tratta di una novità, bensì di una figura nata negli anni Settanta per insegnare ai professionisti più giovani come costruire un buon rapporto con i malati e come evitare errori. A richiederli, come riferisce Il Messaggero, sono numerosi ospedali, dalla California a New York, dall’Arizona all’Alaska.
Il loro scopo consiste dunque nel migliorare l’approccio alle patologie, ma anche nel comunicare cattive notizie in modo corretto. “Queste sono conversazioni che i pazienti e i loro famigliari ricorderanno per tutta la vita – spiega la professoressa Julia Vermyen, docente di Medicina ospedaliera alla Chicago University –. E i giovani medici, in genere, commettono l’errore di investirli con una valanga di informazioni tecniche, invece di dare conforto e far capire che non saranno soli nella lotta”.
Il ruolo dei pazienti attori è riconosciuto al punto che a Pasadena, in California, ha aperto anche un’apposita scuola di formazione, con appena 50 studenti ammessi ogni anno, in grado di cimentarsi sul campo dopo poche settimane di studi. I simulatori devono imparare a menadito il curriculum medico di un vero paziente che corrisponde alla loro età, alo loro sesso e alla loro etnia, riuscendo a essere convincenti e spontanei nel presentare i propri problemi. Certo, alcune patologie non possono essere “recitate” – si pensi ai problemi cardiaci o respiratori – e solo un ristretto gruppo di finti pazienti accetta anche visite approfondite, per esempio uro-ginecologiche. Costoro sono preparati con un corso speciale, che comporta anche un’assistenza psicologica.
“Impersonare per otto ore un individuo che soffre di depressione o di qualche malattia mentale può essere un lavoro stremante”, dice Kendra Sargeant, finta paziente di Chicago. E il suo collega Jarrod Smith aggiunge: “Studio tutto dei pazienti che devo impersonare, immaginandoli in carne e ossa. Mi dà grande soddisfazione sapere che sto aiutando qualcuno a diventare un medico o un infermiere migliore”.
Redazione Nurse Times
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