Il coronavirus nCoV-2019 sembra essere meno aggressivo? Il merito è da attribuirsi all’uso della mascherine. Questo è quanto sostenuto da un gruppo di accademici in una pubblicazione su “The New England Journal of Medicine”, una delle riviste scientifiche più autorevoli al mondo.
La teoria avanzata, seppur estremamente convincente, è ancora da confermare. L’utilizzo di mascherine o altri dispositivi di barriera su ampia scala avrebbe aiutato a ridurre la gravità dei sintomi permettendo a molte persone contagiate di essere asintomatiche.
Se questa ipotesi fosse confermata, si potrebbe supporre che le mascherine abbiano attuato una sorta di “variolizzazione” nei soggetti che le indossano.
Che cos’è la variolizzazione?
La variolizzazione o vaiolizzazione era un metodo di protezione dal vaiolo, adoperato prima della vaccinazione jenneriana, consistente nell’inoculare, nel soggetto da immunizzare, del materiale prelevato da lesioni vaiolose o dalle croste di pazienti non gravi.
Questo potrebbe aver generato una sorta di immunità in grado di rallentare la diffusione del virus negli Stati Uniti e nel resto del mondo.
Sempre più risultati ottenuti nel corso di svariate ricerche suggeriscono come la carica virale alla quale una persona sana sia esposta determini la gravità del quadro clinico.
Un ampio studio pubblicato su Lancet nel mese scorso ha dimostrato come la carica virale riscontrata al momento della prima diagnosi fosse un indicatore di mortalità indipendente nei soggetti ospedalizzati.
Indossare la mascherina potrebbe perciò ridurre la dose infettiva alla quale si espone chi la indossa. Di conseguenza, l’impatto della malattia, grazie ad una parziale opera di filtraggio dei droplets che contengono il virus, sarebbe minore.
Se questa teoria fosse confermata da ulteriori evidenze, l’utilizzo della mascherina su scala mondiale risulterebbe fondamentale per evitare le migliaia di decessi e altrettanti pazienti ricoverati in condizioni critiche nelle terapie intensive.
Anche nei pazienti asintomatici infatti, è emerso come ci possa essere un’importante risposta immunitaria.
Secondo gli scienziati, ogni strategia adottata dai servizi sanitari nazionali in grado di ridurre la gravità dell’infezione, dovrebbe essere incentivata a livello globale.
Ecco perché anche una ridotta carica virale può essere in grado di indurre una risposta immunitaria, proprio come se assumessimo una dose di un vaccino.
Mentre questa ipotesi, come già detto, necessita di ulteriori studi clinici per essere confermata, gli esperimenti sui criceti cinesi da laboratorio suggeriscono una correlazione diretta tra dose e quadro clinico.
I criceti esposti al nCoV-2019 durante i test, qualora fossero protetti da una barriera realizzata dello stesso materiale delle mascherine chirurgiche, manifestavano molte meno infezioni rispetto alle cavie esposte direttamente all’agente patogeno. Gli animali che contravene il virus manifestavano quadri clinici molto meno gravi rispetto a chi non utilizzava alcuna barriera.
Anche nel caso dell’epidemia di Coronavirus che ha interessato una nave da crociera argentina è emerso come l’uso di filtranti facciale N95 abbia generato nell’81% dei positivazziti, assenza completa di sintomi. Nelle precedenti epidemia a bordo di navi, nei primi mesi dell’anno 2020, il tasso di asintomatici si è attestato al 20%. In questi casi non erano disponibili a bordo i dispositivi di protezione individuale idonei ad evitare la diffusione del contagio.
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