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”Quando è stato sedato ho tirato un sospiro di sollievo, mi son detto almeno non soffre più”

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''Quando è stato sedato ho tirato un sospiro di sollievo, mi son detto almeno non soffre più''
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G. ringrazia con una lettera commovente il personale dell’Ospedale Vittorio Emanuele di Bisceglie.

”Mio Papa, L., è stato ricoverato presso il vostro nosocomio da Giovedì 22 ottobre fino a Sabato 7 novembre.

Avevamo avuto un caso di positività in famiglia il 15 di ottobre e che lo fosse anche lui era quasi scontato. Era in attesa di poter fare il tampone.

Stava bene: saturazione al 96%, niente piressia, niente affanno, niente rumori respiratori preoccupanti, nulla di nulla. Il curante aveva consigliato di iniziare cortisone ed eparina solo nel caso di peggioramento dei sintomi.

Mercoledi 21 ottobre ha cominciato a desaturare, era divenuto dispnoico ed iperpiretico. Ho contattato la centrale del 118 contro la sua volontà: è stato trasportato dapprima al P.s. di Andria e successivamente, Giovedì sera, è stato trasferito li da voi. Di lì è poi cominciata la sua lunga ed interminabile agonia…

Mio papà era una persona umile, una persona onesta, una persona molto generosa.

Figlio di contadini, negli anni aveva costruito quello che definiva il suo “tesoretto”, Il suo sogno, da costruttore, era quello di poter costruire una casa nella quale ci potessimo essere tutti noi, tutti i suoi figli, tutti i suoi nipoti.

Lo aveva fatto, ci era riuscito. Era felice. Quel suo sogno si è poi tramutato nella causa della sua morte: prima mia nonna, poi io e mia mamma, poi lui, poi mio fratello e mia sorella.

Lui, proprio lui che lo scorso anno aveva affrontato una prostatectomia open; proprio lui con BPCO ed obesità. lo, da studente di quello che definisco il lavoro più bello al mondo, avevo compreso la gravità della situazione fin da subito.

Fin da subito mi sono interfacciato con tutti voi per poter ottenere notizie quanto più precise possibile.


Fin da subito mi sono fatto carico delle sue chiamate nelle quali mi diceva “non respiro, aiutami”. Martedì 27 mi sono recato in ospedale per riuscire ad ottenere qualche informazione in più: ho incontrato per caso la Dottoressa G., prontamente messasi a disposizione per ogni chiarimento.


I Giorni passavano, e nonostante fossi a conoscenza del quadro, portavo sempre con me un lume di speranza; speranza che si è poi spenta quando alle 18.19 di Domenica 1 novembre ricevevo una chiamata dal dott. I. che mi informava dell’imminente trasferimento di mio padre in terapia intensiva.

Mio papà, grazie ad un infermiere incaricato dal doc. I., l’ho salutato in videochiamata: era letargico, con un’ecchimosi in corrispondenza dell’osso nasale.

Gli dissi “Devono intubarti, sta’ tranquillo, ci vediamo dopo.” Lui esordì con un “va bene”, poi il nulla. Non sono nemmeno riuscito a dirgli “ti voglio bene” e a ringraziarlo per tutto ciò che avesse fatto per noi.

Non ce la facevo; dovevo mostrarmi forte, lui di questo mio aspetto ne andava tanto orgoglioso.

Quando è stato sedato ho tirato un sospiro di sollievo, mi son detto almeno non soffre più; sapevo che stesse andando incontro ad una morte certa… Non riuscivo a capacitarmi del fatto che, a 22 anni, stessi perdendo mio padre, però ero sereno perché almeno non aveva fame d’aria.

Mio papà mi diceva sempre che stavate facendo di tutto per aiutarlo, che eravate molto collaborativi e socievoli. Mi parlava spesso di un certo A., diceva che lo stesse aiutando molto più tardi ho scoperto che questo A. fosse il dott. B.

lo sono certo del fatto che voi vi siate presi cura di lui nel migliore dei modi e che abbiate fatto tutto il possibile per poterlo salvare. Questa patologia, però, era più grande di quell’omone che metteva timore a tutti ma che in realtà era un pezzo di pane.


Io, da parte sua, da parte della mia famiglia, voglio ringraziarvi per tutto ciò che avete fatto per lui.

Voglio altresì scusarmi per tutte le volte che vi ho rotto le scatole con le mie insistenti chiamate e con le mie interminabili domande.

Vorrei ringraziare tutti voi, uno ad uno: oss, infermieri, medici, persino il ”vecchio” della portineria.


Mio papà si è fatto strada in silenzio ed in silenzio se n’è andato. Mi rincuora sapere che negli ultimi attimi di vita, voi eravate li pronti ad assisterlo, pronti ancora una volta a tentare di salvarlo.

So per certo che non sia morto da solo so per certo che accanto a lui c’eravate voi. So che questa lettera non migliorerà la situazione e che non sarà tanto di conforto, ma sentivo il dovere di ringraziarvi.

Mio papà, quando la vita mi metteva davanti degli ostacoli, mi diceva che dopo la tempesta ci fosse sempre il sole. Ecco io voglio credergli! Crediamoci! Ancora grazie per tutto e buon lavoro.”

G. D. B.

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