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Covid-19, il dramma di Chiara: uccisa dal virus a soli 21 anni

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Covid-19, il dramma di Chiara: uccisa dal virus a soli 21 anni
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Rilanciamo questa triste storia, proveniente dalla provincia di Torino e raccontata dal quotidiano La Stampa.

Era un lunedì: il 19 di ottobre. Quel giorno Chiara non stava bene, aveva qualche linea di febbre. Era stanca, spossata. Ma si sa, la vita delle mamme è così se hai un bambino piccolo. E poi lei era sempre in forma. Il Covid-19 era una roba lontana, vista da qui. Una storia di altri, sentita in tivù oppure letta sui giornali.

Venti giorni dopo, Chiara Cringolo, 21 anni, un bimbo di 13 mesi, un marito e una casa in un paese a 50 chilometri da Torino, Romano Canavese, è morta di Covid all’ospedale Molinette, il polo più grande del torinese dove si combatte il coronavirus. Dove si tenta di salvare la vita a chi, come Chiara, arriva lì in condizioni disperate.

Chiara è morta domenica sera e qualcuno ha telefonato alla famiglia: “Purtroppo non ce l’ha fatta”. Glielo hanno detto così, come avranno fatto centinaia di volte, a centinaia di famiglie, da quando è iniziata la pandemia. Anziani, gente di mezza età, persone con mille patologie già diagnosticate. Ma stavolta la storia è differente, perché lei aveva appena 21 anni. Era una “bambina”, come la chiama adesso il papà: “La mia bambina”. Chiara era sempre stata bene. “Guardava il mondo con infinita dolcezza”, sussurra il suo compagno, Mario. Chiara aveva “occhi profondi e un sorriso che ti incanta”.

Ecco, la storia di Chiara Crignolo, va raccontata non partendo da qui, ma dall’ingresso del reparto di Terapia intensiva delle Molinette, dove era finita qualche giorno dopo quel maledetto lunedì, con la diagnosi di polmonite bilaterale da Covid-19. La rianimazione universitaria è su, al secondo piano: dalle finestre si possono vedere il Po le colline. Ed è quasi un posto che ti dà speranza.

Chiara è arrivata con un tampone positivo. Trasferita d’urgenza dall’ospedale di Ivrea perché, nonostante l’età, non riusciva più a respirare. Da quel momento i suoi famigliari non l’hanno più vista. Hanno sperato e pregato ogni giorno. Hanno fatto mille carezze al bimbo: “Mamma torna tra pochi giorni. Non piangere più, ci siamo noi”.

Ripercorrere adesso questa storia è tutto uno strazio. Senti papà Antonio e respiri il dolore di lui: “Povera la mia bambina, chissà quanto ha sofferto”. E ti vien da piangere quando narra di quelle giornate passate ad aspettare con il telefonino sempre in mano: “Perché sa, ogni pomeriggio un medico oppure un infermiere ci chiamavano per aggiornarci. Erano tutti gentili. Ci dicevano che lei era giovane, che ce l’avrebbe certamente fatta”. In fondo parlare con chi l’aveva in cura era un po’ come essere lì accanto a lei. Vederla guarire. E poi c’erano i numeri, le statistiche sull’età delle vittime, c’erano gli epidemiologi in tivù a confortare: “I giovani se la cavano meglio di chi è già avanti negli anni. Chi è sano corre meno rischi di complicanze”.

Nonno Antonio adesso guarda nel vuoto e ripete a tutti le stesse cose: “Chiara è sempre stata in salute, forse appena in sovrappeso. Era appena robusta, ma niente di importante”. Ripete che in casa stanno tutti bene. Anche se tutti sono risultati positivi al Covid: lui e sua moglie Barbara, le sorelle di Chiara, il papà del bimbo. Sono tutti in quarantena, ma nessuno sta male. Dice nonno Antonio: “Sa cos’è la cosa che mi fa più male in questo momento? Non aver avuto la possibilità di stringere un’ultima volta le sue mani e dirle ‘sono qui, bambina mia’, non aver paura”. Il resto sono lacrime, paura. Alle 8 di sera il sindaco del paese chiama nonno Antonio: “Per qualunque cosa noi ci siamo”. Poi gli dice del messaggio che il cardinal Bertone ha fatto arrivare ai suoi concittadini: “Anche lui vi è accanto con la preghiera”. “Grazie”, risponde nonno Antonio. Ma anche la preghiera, adesso, non consola abbastanza.

Redazione Nurse Times

Fonte: La Stampa

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