La ricerca è stata condotta su campioni da sei donne sane di età compresa tra 18 e 40 anni.
Un nuovo studio, condotto dagli esperti dell’Università Politecnica delle Marche in collaborazione con l’Ospedale Fatebenefratelli di Roma, ha evidenziato per la prima volta la presenza di microplastiche e microparticelle pigmentate in campioni di placenta umana, fornendo così “un nuovo punto di vista sull’impatto dell’inquinamento da plastica sulla salute umana”, come si legge proprio sul sito dell’ateneo marchigiano.
Lo studio, condotto dai gruppi di ricerca delle professoresse Elisabetta Giorgini e Oliana Carnevali, è stato pubblicato sulla rivista scientifica Environment International. “Con la presenza di plastica nel corpo viene turbato il sistema immunitario che riconosce come ‘self’ (se stesso) anche ciò che non è organico – ha spiegato Antonio Ragusa, primo autore dello studio e direttore Uoc di ostetricia e ginecologia presso il Fatebenefratelli –. E’ come avere un bimbo cyborg: non più composto solo da cellule umane, ma misto tra entità biologica e entità inorganiche. Le madri sono rimaste scioccate”.
Come si legge nell’introduzione dello studio, i ricercatori hanno spiegato che le microplastiche sono particelle di dimensioni inferiori a cinque millimetri, derivanti dalla degradazione di oggetti in plastica presenti nell’ambiente. Queste particelle possono spostarsi dall’ambiente per giungere fin negli organismi viventi, compresi i mammiferi. Per arrivare a formulare la loro tesi, i ricercatori hanno rilevato diversi frammenti di microplastiche mediante la tecnica della microspettroscopia Raman, all’interno di campioni di placenta umana raccolti da sei pazienti consenzienti, sei donne sane tra i 18 e i 40 anni, che stavano portando avanti gravidanze non problematiche.
La microspettroscopia Raman, si legge nello studio, è una tecnica vibrazionale applicata con successo in campo biomedico, per caratterizzare sia campioni biologici, sia per rilevare la presenza di microplastiche e microparticelle in generale. In totale sono stati trovati 12 frammenti microplastici, di dimensioni comprese tra 5 e 10 micron, di forma sferica o irregolare, in quattro placente: cinque nel lato fetale, quattro nel lato materno e tre nelle membrane corioamniotiche, quelle cioè che avvolgono il feto e che risultano dalla fusione della membrana amniotica con la membrana del corion.
Gli esperti hanno segnalato che tutte le particelle microplastiche sono state caratterizzate in termini di morfologia e composizione chimica. Tutte sono risultate pigmentate. Tre sono state identificate come polipropilene colorato, un polimero termoplastico con cui vengono realizzati per esempio le bottiglie di plastica e i tappi, mentre per gli altri nove è stato possibile identificare solo i pigmenti, che possono derivare da materiali come rivestimenti artificiali, vernici, adesivi, intonaci, pitture, cosmetici e prodotti per la cura della persona.
“I rischi per la salute dei bambini che già alla nascita hanno dentro di sè delle microplastiche ancora non si conoscono – ha spiegato ancora Ragusa –. Bisogna continuare a fare ricerca, ma già sappiamo da altri studi internazionali che la plastica per esempio altera il metabolismo dei grassi. Riteniamo probabile che in presenza di frammenti di microplastiche all’interno dell’organismo la risposta del corpo, del sistema immunitario, possa cambiare, essere diversa dalla norma”.
Sulle modalità con cui le microplastiche entrano nell’organismo umano, poi, Ragusa ha sottolineato come ancora non si conosca la via prevalente, sebbene gli ingressi possano essere due: “La prima riguarda l’apparato respiratorio e quindi il circuito ematico. La seconda attraverso l’alimentazione, quindi via intestino. Per fare solo un esempio, basti pensare alle vaschette di plastica in cui viene confezionato il cibo nei supermercati”.
Redazione Nurse Times
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