Di seguito la lettera pubblicata sul sito della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo).
È del tutto nuovo, questo coronavirus, che è venuto a ingrossare la già nutrita folta rappresentanza dei virus sinora catalogati. Si è propagato in tutto il mondo con una velocità impressionante e inaspettata, trovandoci impreparati e senza i giusti e idonei mezzi per affrontarlo e sconfiggerlo.
Esso è ancora qua, da circa un anno o poco più. Tenace, resiste, fra alti e bassi, illudendoci che stia per esaurire la sua carica, ma ecco che all’improvviso riappare più “forte che pria”. Fa vittime, anzi le sceglie, perché ad alcuni passa di striscio invece ad altri fa danni irreparabili, togliendogli il respiro e con esso l’ossigeno vitale.
Tra le sue vittime, mio fratello Ezio Santilli (a sinistra nella foto, ndr), di anni 70, medico pediatra in pensione. Stava attento, più a casa che fuori quando andava a dare consigli per come riguardarsi. Eppure il virus è andato a stanarlo a casa, introdotto dalla moglie medico ortopedico, che inconsapevolmente lo ha preso nel distretto dove presta la sua opera ambulatoriale. Pare dal personale. Ripeto: pare.
Lei e il figlio infettati se la sono cavata come fosse stata una lieve influenza, e ora sono negativi ai tamponi. Lui, invece, si è aggravato un poco la volta, prima con l’ossigeno nasale, poi la NIV, poi la CPAP e infine l’intubazione con annessa pronazione. Nulla da fare, i polmoni captavano sempre meno ossigeno, sino alla più grave ipossiemia. Venti giorni di agonia, senza poterlo vedere, senza poterlo assistere. Io, medico cardiologo-internista, senza nemmeno poterlo confortare, stringergli la mano nell’estremo saluto terreno.
Ricordo che io, quando lavoravo in ospedale, ho sempre permesso ai congiunti di stare con i loro cari per un’ultima carezza e un saluto. Rammento i tanti malati gravi che, sentendosi il fiato della morte addosso, tentavano di scendere dal letto per toccare la terra per l’ultima volta. Ecco, la morte è di per sé avvenimento tragico, ma, se ci si associa la crudeltà, diventa un dramma, una tragedia che nemmeno Sofocle, il grande drammaturgo greco, avrebbe saputo immaginare. Una morte da solo, come nemmeno il cane più rognoso, potrebbe fare.
Solo alla fine, in punto di morte, la moglie ed il figlio, ben protetti sono stati ammessi a dargli l’ultimo saluto, e poterlo vedere, lui sedato e del tutto incosciente. Questa è una triste storia, che deve insegnare anche ai tanti colleghi che si rifiutano di vaccinarsi che siamo di fronte a un problema serio, che apporta lutti e tragedie familiari, e che devono fare il vaccino. Oppure, se non lo vogliono fare, tacciano, senza creare allarmismi verso il popolo.
Redazione Nurse Times
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