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Coronavirus, la variante inglese continua a mutare

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Coronavirus, la variante inglese continua a mutare
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Preoccupano le nuove modifiche genetiche, già riscontrate nei ceppi brasiliano e sudafricano. I vaccini, comunque, dovrebbero funzionare, sebbene i risultati siano inferiori rispetto a quelli riscontrati per il virus originale.

La variante inglese del Covid-19, diffusa in Gran Bretagna ma anche in Europa, sembra aver subito alcune nuove, preoccupanti modifiche genetiche. E’ l’allarme lanciato da scienziati britannici, ripreso da Bbc News online. I test su alcuni campioni mostrano una mutazione (battezzata E484k) già osservata nelle varianti che hanno avuto origine in Brasile e Sudafrica. I vaccini in uso dovrebbero funzionare anche contro queste modifiche, rassicurano gli esperti, sebbene i risultati siano inferiori rispetto a quelli riscontrati per il ceppo originale. Intanto il Regno Unito ha intensificato le misure di controllo contro la diffusione di nuove varianti.

A scoprire la mutazione E484K in alcuni campioni virali estratti da pazienti britannici infettati dalla variante inglese è stato un team di esperti del New and Emerging Respiratory Virus Threats Advisory Group (NEVRTAG), organo multidisciplinare che sta fornendo consulenza specialistica al governo di Boris Johnson per affrontare la pandemia. I risultati sono stati pubblicati nel rapporto “Investigation of novel SARS-CoV-2 variant Variant of Concern 202012/01” della Public Health England (PHE), l’Agenzia governativa del Dipartimento della Sanità e dell’assistenza sociale del Regno Unito. Su oltre 200mila sequenze genomiche virali sequenziate dagli esperti del Covid-19 Genomics UK (COG-UK), la mutazione E484K è stata trovata soltanto in un 11 casi di variante inglese. “Le informazioni preliminari suggeriscono più di un evento di acquisizione”, si legge nel documento.

La mutazione E484K è posizionata sulla proteina Spike, presente sul “guscio esterno” (pericapside o peplos) del patogeno, che la sfrutta per agganciarsi al recettore Ace-2 delle cellule umane, scardinare la parete cellulare e permettere l’inserimento dell’Rna virale, il processo che dà il via alla replicazione e dunque all’infezione da coronavirus. In base a studi preliminari, questa specifica mutazione sarebbe in grado di ridurre l’efficacia del vaccino ed eludere l’immunità innescata dall’infezione naturale. Lo dimostrerebbe la pioggia di casi che si sta registrando a Manaus, in Brasile, già duramente colpita durante la prima fase della pandemia e ora letteralmente martoriata.

Ma c’è da preoccuparsi per la ridotta efficacia dei vaccini? Vediamo qualche esempio. Il vaccino candidato NVX-CoV2373, prodotto dalla casa farmaceutica americana Novavax, in uno studio di fase 2b condotto in Sudafrica ha dimostrato un’efficacia del 49,4%, mentre in uno studio di fase 3 nel Regno Unito la protezione è risultata dell’89,3%, in linea con quella dimostrata da altre preparazioni. Il vaccino Ad26.COV2.S, della multinazionale Johnson & Johnson, nello studio di fase 3 “ENSEMBLE” ha invece dimostrato un’efficacia del 57% contro la variante sudafricana. Tenendo presente che la soglia minima considerata accettabile dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) per un vaccino anti-Covid è del 50%, queste percentuali, da confermare con ulteriori indagini, possono essere considerate accettabili.

Le case farmaceutiche di tutto il mondo sono comunque pronte ad aggiornare i vaccini per colpire le varianti, qualora fosse dimostrata la capacità delle stesse di eludere la vaccinazione. I virus mutano naturalmente, e solo rispettando il più possibile le norme anti-contagio favoriremo al massimo il prosieguo della campagna vaccinale, i cui risultati diventeranno tangibili nei prossimi mesi.

Redazione Nurse Times

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