Occorre mantenere la cautela su possibili mutamenti
“A fronte di una diffusa circolazione tra gli uccelli di allevamento da oltre 10 anni, H5N8 ha recentemente causato casi di infezione nell’uomo, quelli appunto segnalati in Russia, che hanno dato esito a forme cliniche di modesta entità. Non risulta inoltre che si sia verificata alcuna trasmissione del virus tra uomo e uomo” sottolinea il Presidente SIMIT Marcello Tavio
Il 21 febbraio, la Russia ha annunciato di aver individuato il primo caso di trasmissione all’uomo del ceppo H5N8 altamente patogeno dell’influenza aviaria. La notizia è stata immediatamente inviata all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Gli scienziati russi del Centro ‘Vektor’ hanno individuato il virus in sette dipendenti di una fabbrica Sud della Russia, dove nel dicembre 2020 sono stati registrati focolai tra la popolazione di volatili.
Il Capo dell’Agenzia federale russa per la salute e la tutela dei consumatori Rospotrebnadzor, Anna Popova, ha dato ampie rassicurazioni sul decorso clinico semplice della malattia nei soggetti infetti. Ha sottolineato anche che per ora non vi è stata trasmissione uomo a uomo, ma ha avvertito che, in seguito a una possibile mutazione, il virus potrebbe “imparare” a farlo. Il caso ha però suscitato alcuni timori e per questo arriva un intervento chiarificatore della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT sul tema.
STORIA E CARATTERISTICHE DEL VIRUS
È importante sottolineare il contributo che la società di infettivologia può portare e che va unito a quello di igienisti e veterinari su di una simile delicata materia. “Il ceppo H5N8 del virus dell’influenza aviaria è in circolazione da vari anni negli allevamenti avicoli di tutta Europa – spiega il Presidente SIMIT Marcello Tavio – L’ultimo episodio in Italia risale al 21 gennaio scorso, quando il ceppo è stato isolato in due gru coronate grigie a Lugo di Romagna presso Ravenna.
La circolazione di ceppi di virus influenzali di provenienza aviaria sono costantemente monitorati in varie parti del globo, proprio per la loro potenziale pericolosità; la notizia va presa per quello che è, ovvero come conferma che il sistema di allerta è attivo e funziona; ma non va trasformata in un ulteriore allarme per la popolazione, già così provata dalla pandemia da Covid-19”.
A gennaio scorso, le autorità veterinarie italiane hanno confermato nuove positività in 43 uccelli selvatici, in particolare in 19 esemplari di alzavola (Anas crecca); in 16 di fischione (Mareca penelope) e in 4 di Anas platyrhynchos, l’anitra selvatica comune o germano reale. L’introduzione di H5N8 in Europa dall’Asia risale al 2010 e ha seguito le migrazioni di alcune specie soprattutto di anatidi.
Nel 2014 è stato segnalato un primo focolaio aviario in provincia di Rovigo. Nell’autunno 2016 H5N8 era presente in otto Paesi europei. Nel 2017 sono stati osservati 83 focolai in allevamenti industriali e rurali prevalentemente in Veneto e Lombardia e altri tre in Lombardia nella primavera del 2018.
A fronte di una diffusa presenza negli ultimi anni tra gli uccelli di allevamento da ormai oltre 10 anni; H5N8 ha causato solo ora casi di infezione nell’uomo, quelli appunto segnalati in Russia, che hanno dato esito a forme clinicamente di modesta entità. Non risulta inoltre che si sia verificata alcuna trasmissione del virus tra uomo e uomo.
CEPPI AVIARI A CONFRONTO
“In merito alla trasmissione del virus da uomo a uomo, H5N8 presenta finora una minor pericolosità di H5N1, nota dalla fine del secolo scorso e che dal 2003 ha causatonell’uomo 862 casi con 455 decessi (con una letalità quindi del 52,8%) – evidenzia il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT –È importante sottolineare anche che la trasmissione tra umani di H5N1 è stata molto rara, limitata a un ristrettissimo numero di cluster familiari, e che quindi in più di vent’anni il virus non ha acquisito una reale capacità di trasmissione interumana”.
Nel 2020 è stato segnalato un solo caso umano di H5N1, registrato nel Laos. Un altro ceppo aviario che ha causato molti casi nell’uomo è H7N9, emerso nel 2013. Al gennaio 2020 se ne erano registrati 1568, con una letalità del 39%, più elevata negli anziani con patologie associate. Anche in questo caso il virus non ha acquisito la capacità di trasmettersi tra umani.
NESSUN ALLARMISMO, MA SERVONO CAUTELA E MONITORAGGIO
“Non è facile che un ceppo completamente aviario, pur avendo occasione di circolare a lungo tra gli animali e nell’uomo, muti al punto da assumere caratteristiche che lo rendano in grado di diffondersi nella nostra specie – commenta il Prof. Massimo Galli, studioso della materia e Past President SIMIT – Tuttavia, per quanto attiene a H5N8, tre sostituzioni nel gene dell’emagglutinina, ed in particolare S137A e S227R nel sito di legame al recettore e A160T nel sito della glicosilazione, sarebbero potenzialmente in grado di facilitare il legame con i recettori per il virus sulle cellule umane bersaglio, forse spiegando quanto accaduto in Russia e suggerendo quindi cautela.
Va infine ricordato che la pandemia influenzale dell’anno 1900 (anche nota come vecchia Hong Kong) è stata causata da un ceppo H3N8 e che uno dei ceppi dominanti attualmente in circolo, H3N2, l’agente causale della pandemia insorta nel 1968 e chiamata Hong Kong, presenta caratteristiche che potrebbero facilitare una ricombinazione con H5N8, con scambio tra i due ceppi di una parte degli otto segmenti genetici di cui è costituito il virus dell’influenza A”.
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