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Coronavirus, un algoritmo per il trattamento respiratorio non invasivo della polmonite

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Coronavirus, un algoritmo per il trattamento respiratorio non invasivo della polmonite
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Si tratta di un’idea italo-portoghese (ospedale San Donato di Arezzo e Università di Oporto) per ridurre le intubazioni e la ventilazione invasiva in rianimazione.

Un algoritmo per il trattamento respiratorio non invasivo della polmonite da coronavirus. Un’idea italo-portoghese, elaborata da Raffaele Scala, direttore di Pneumologia e UTIP dell’ospedale San Donato di Arezzo e da Joao Carlos Winck, coordinatore del Centro di Medicina respiratoria riabilitativa all’Università di Oporto.

“L’utilità sta nell’evitare le intubazioni, o quanto meno ridurne il numero – spiega Scala –. L’algoritmo indica modalità e tempi delle diverse tecniche di assistenza respiratoria non invasiva in base alle condizioni del paziente. Solo con l’applicazione tempestiva e corretta di ossigeno, alti flussi, CPAP e ventilazione non invasiva è possibile prevenire il deterioramento delle condizioni respiratorie del paziente colpito da polmonite Covid, che sviluppa una grave carenza di ossigeno e quindi il ricorso all’intubazione e alla ventilazione invasiva in rianimazione”.

Nel 2019, quindi in fase pre-Covid, il tasso dei pazienti in UTIP che hanno richiesto intubazione per fallimento delle tecniche di assistenza non invasiva è stato pari al 18% dei trattati (oltre 200 pazienti). Lo scorso anno la media degli intubati è stata intorno al 15% con oltre 300 pazienti Covid trattati per polmonite grave. L’algoritmo proposto è uno strumento di lavoro utile sia a medici che infermieri e consente di fare immediatamente la scelta migliore al momento giusto per il paziente stesso.

“Si rivela particolarmente prezioso in questa fase Covid – sottolinea Scala –, che vede le pneumologie, e comunque le degenze, dedicate ai pazienti contagiati con gravi polmoniti, registrando un alto numero di presenze e dove le intubazioni possono diventare purtroppo frequenti. Noi stiamo cercando di ridurle di numero e, se possibile, di evitarle, allo scopo di prevenire il collasso delle terapie intensive durante la emergenza pandemica. Lo stesso algoritmo facilita anche il percorso opposto dei pazienti dalla ventilazione invasiva con estubazione precoce dalla rianimazione all’assistenza respiratoria non invasiva in pneumologia. Quindi, in sintesi, una stella polare per aiutare l’equipe specialistica nella escalation e de-escalation del supporto respiratorio. E’ utile adesso per il Covid, ma lo sarà anche successivamente per ogni tipo di polmonite grave”.

Lo studio, elaborato all’interno delle collaborazioni internazionali che ha la Pneumologia e UTIP di Arezzo con l’ERS (European Respiratory Society), in cui Scala ha ricoperto per diversi anni la carica di Head della Terapia intensiva respiratoria, è stato pubblicato nella rivista Pulmonology.

“Collegato a questo primo studio, ne abbiamo pubblicato un secondo – prosegue Scala –. Anch’esso è relativo alla diffusione di tecniche di assistenza respiratoria non invasive. L’intubazione deve essere considerata una scelta inevitabile una volta che si siano applicate tutte le possibili alternative a causa dei rischi correlati. Questo vale nel caso del Covid, ma anche in contesti non connessi. Penso, ad esempio, alla broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). E se parliamo di uno specifico gruppo di pazienti, ai fumatori. Siamo di fronte a una patologia ad alto impatto epidemiologico (quarta causa di morte), che può causare un attacco respiratorio acuto con accumulo di anidride carbonica, che richiede la ventilazione meccanica non invasiva. Anche in questo caso il nostro obiettivo è ridurre l’invasività delle cure, cioè l’intubazione e complicanze di una ventilazione invasiva prolungata, oltre all’ansia del paziente, che può essere messo a dura prova. Tuttavia, a volte, la ventilazione non invasiva può non essere ben tollerata dal paziente con rischio di fallimento”.

“In uno studio multicentrico, pubblicato sulla rivista Critical Care a fine 2020 – conclude Scala –. Abbiamo dimostrato, con quello che scientificamente si definisce uno ‘studio di non inferiorità’, che il sistema di alti flussi erogato con speciali cannule nasali da parte di equipe esperte può essere altrettanto efficace della ventilazione con maschera non invasiva nel ridurre il livello di anidride carbonica e risolvere la crisi respiratoria acuta nei pazienti con BPCO, unitamente a un migliore grado di tolleranza grazie al comfort di questo sistema di assistenza respiratoria non invasiva. Con questi studi la Pneumologia aretina ha contribuito a fornire trattamenti di alto livello e all’avanguardia per la cura dei tanti pazienti con polmonite Covid e patologia respiratoria cronica non Covid”.

Redazione Nurse Times

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