Rilanciamo un approfondimento sul tema pubblicato su Start Magazine.
La nuova variante nigeriana del coronavirus, di cui si inizia a parlare anche in Italia, è in realtà un’altra variante inglese. La B.1.525, infatti, è stata individuata per la prima volta nel Regno Unito a metà dicembre 2020. Successivamente è stata ritrovata in Nigeria, Danimarca, Stati Uniti, Canada e Francia. Al momento sono centinaia i casi nel mondo. La mutazione è descritta su PANGO Lineages, un portale globale che contiene i dati di tutte le varianti, pubblici e condivisibili, con date e geografia della diffusione delle catene.
Cosa sono e perché si creano le varianti di un virus – Le varianti di un virus, di qualsiasi virus, sono delle copie molto simili all’originale ma che contengono piccole differenze nella struttura virale, dette anche “mutazioni” che rendono la particella virale leggermente differente dalla struttura originale. Nel caso del coronavirus le mutazioni che costituiscono una variante sono tutte le piccole differenze che discostano la particella virale dalla versione originale, quella isolata a Wuhan. Le varianti aumentano all’aumentare della diffusione del virus e dei mezzi per contrastarlo. All’aumentare infatti della quantità di copie virali in circolazione aumenta anche la probabilità di errori nella copia del virus, che determinano le mutazioni. Anche per questa ragione è indispensabile contrastare la diffusione del virus.
Variante nigeriana a Napoli – In Italia è stata individuata per la prima volta il 17 febbraio 2021, dall’Istituto Pascale e dall’università Federico II, in un paziente tornato dall’Africa per motivi di lavoro. “La sequenza del campione giunta a noi dal Policlinico Federiciano – ha detto Nicola Normanno, ricercatore dell’Istituto dei tumori di Napoli – ci ha subito insospettiti perché non presentava analogie con altri campioni provenienti dalla nostra regione. Dopo un confronto con il gruppo del Reparto Zoonosi Emergenti dell’Istituto Superiore di Sanità abbiamo avuto la conferma che si tratta di una variante descritta finora in un centinaio di casi in alcuni paesi europei ed africani, ma anche negli Stati Uniti. Abbiamo immediatamente depositato la sequenza nel database internazionale GISAID ed avvertito le autorità sanitarie”.
Differenze e analogie rispetto alle varianti inglese, sudafricana e brasiliana – La variante nigeriana, come tutte le varianti, presenta diverse mutazioni, alcune specifiche, altre presenti anche in altre varianti di Covid-19. La mutazione specifica della variante nigeriana, rinominata dagli scienziati Q677H, è presente nella proteina Spike, quella utilizzata dai vaccini di ultima generazione. La variante B.1.525 presenta anche 3 mutazioni in comune con la variante inglese, tra le quali la 501Y quella responsabile di una maggiore virulenza, e una, la E484K, con la variante sudafricana e variante brasiliana del Covid-19.
Mutazione Y501: aumenta la contagiosità – I ricercatori del COVID-19 Genomics UK (COG-UK) Consortium, un gruppo di agenzie di sanità pubblica e istituzioni accademiche nel Regno Unito creato nell’aprile 2020 per raccogliere, sequenziare e analizzare i genomi di SARS-CoV-2, hanno studiato le strutture della proteina Spike mutate e hanno fatto delle elaborazioni per comprendere se il cambio di forma della proteina Spike prodotto dalle mutazioni (Y501) potesse rendere la proteina Spike più efficace nel legare il proprio bersaglio. Dalle simulazioni è emerso che la mutazione Y501 permette al virus di legarsi alle cellule umane con maggiore facilità e di rimanerci legato in modo più saldo e quindi di attaccarle in modo più efficace. Da questo si presume che derivi la sua maggiore virulenza.
Mutazione E484K: resistenza alle cure – La variante nigeriana condivide la mutazione E484K con quella brasiliana e sudafricana. Allo stesso modo, dunque, potrà essere più difficile da contrastare con le terapie che si basano sugli anticorpi. È altamente probabile, secondo gli studiosi, che questa mutazione conferisca una elevata resistenza a plasma iperimmune, anticorpi monoclonali e vaccini. Sulla resistenza ai vaccini, aumentata dalla mutazione E484k, il COVID-19 Genomics UK (COG-UK) Consortium ha pubblicato uno studio che evidenzia la resistenza al vaccino a mRNA Pfizer BNT162b2.
Come funzionano i vaccini a mRNA – I vaccini a mRNA (Moderna e Pfizer) utilizzano molecole di acido ribonucleico messaggero (mRNA) che contengono le istruzioni perché le cellule della persona che si è vaccinata sintetizzino le proteine Spike. Le proteine prodotte stimolano il sistema immunitario a produrre anticorpi specifici. In questo modo chi si è vaccinato è provvisto di anticorpi che, nel caso di contagio, bloccano le proteine Spike e ne impediscono l’ingresso nelle cellule.
La variante nigeriana a Brescia – Se le ricerche degli studiosi saranno confermate la variante nigeriana si candida ad essere virulenta, come quella inglese, e resistente alle terapie, come quella sudafricana e brasiliana. Lo scorso due marzo è stata isola a isolata a Brescia. “Per la prima volta in Italia abbiamo isolato il virus portatore di queste mutazioni che preoccupano perché potrebbero conferire resistenza ai vaccini anti Covid oggi disponibili” ha detto Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia e direttore del Laboratorio di Microbiologia dell’Asst Spedali Civili.
La preoccupazione del Presidente della Lombardia Fontana – Il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, è molto preoccupato dalla comparsa della nuova variante nel suo territorio, finito nuovamente in zona arancione rinforzato: “Un po’ preoccupato lo sono e lo siamo. La decisione dell’ordinanza è stata presa sulla base della relazione del nostro comitato indicatori. Dice a chiare lettere che ci sono una serie di elementi che allarmano e su cui è opportuno intervenire urgentemente. E appunto, che adesso il virus contagia anche i giovani che prima sembravano esenti. E poi abbiamo scoperto di questa variante nigeriana che sarebbe indifferente alle vaccinazioni. Noi su questa non abbiamo notizie specifiche ma, come le dicevo, il punto è non farsi prendere in contropiede. Cercare di stare davanti al virus”.
Pregliasco: “Le varianti preferiscono i più giovani” – Il virologo Fabrizio Pregliasco, componente del Cts Lombardia, mette in guardia circa il dilagare delle nuove varianti: “La carica virale è superiore, la durata della contagiosità è di 14 giorni invece dei 10 del virus originale e la carica virale più alta rende la nuvola droplet più pervasiva nello spazio. Inoltre le nuove varianti colpiscono i più giovani. Vediamo maggior contagiosità del virus e una grande prevalenza tra 13 e 19 anni così come tra i più giovani, con infezioni inapparenti che facilitano la catena del contagio. Il fatto che ci sia maggior carica virale significa che aumenta lo spazio di contagio, anche indiretto, e questo velocizza e rende più efficace il momento del contatto, quindi ogni contatto diventa più a rischio.
L’opinione di Burioni – Più cauto Roberto Burioni, docente dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, che chiede di non terrorizzare la popolazione con le varianti: “Non ci sono al momento dati che indicano una maggiore contagiosità o una maggiore ‘patogenicità’ di questa variante. In tre studi clinici preliminari alcuni vaccini sembrano essere meno efficaci contro di essa”.
Redazione Nurse Times
Fonte: Start Magazine
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