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Parkinson, svelato meccanismo alla base del rallentamento motorio

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Parkinson, nuova tecnica a base di ultrasuoni riduce i tremori
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L’incapacità dei gangli della base di regolare le varie fasi del movimento dipende dalla perdita di dopamina. La scoperta apre la strada a terapie più efficaci e modulari.

Il rallentamento motorio è uno dei sintomi motori più comuni del Parkinson. Anche semplici gesti quotidiani, come afferrare un oggetto, diventano complicati e possono diventare lenti e faticosi. Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Partner Journal – Parkinson’s Disease e nato dalla collaborazione tra l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna e l’Ospedale Universitario di Würzburg, in Germania, svela come la mancanza di coordinazione sia dipesa dall’incapacità di un’area del cervello (i gangli della base) di regolare le varie fasi del movimento a causa della perdita di un neurotrasmettitore, la dopamina.

“Abbiamo chiesto ai pazienti affetti da Parkinson di muovere il braccio per afferrare un oggetto posto di fronte a loro, un gesto comune che si esegue moltissime volte durante la giornata – spiega Alberto Mazzoni, ricercatore dell’Istituto di BioRobotica e responsabile scientifico del Laboratorio di Neuroingegneria computazionale –, e contestualmente registrato l’attività del nucleo subtalamico, una regione cerebrale funzionalmente correlata ai gangli della base. Siamo riusciti così ad analizzare quale fosse l’informazione neurale che codifica questo movimento e responsabile delle difficoltà motorie nei nostri pazienti”.

Lo studio completa una trilogia di studi sul Parkinson coordinata da Mazzoni, che ha portato alla luce anche i problemi che affliggono i pazienti parkinsoniani nel controllo del cammino e nel controllo dei processi decisionali. “Studiamo il Parkinson come un malfunzionamento nella funzione di trasmissione dell’informazione del sistema nervoso – continua Mazzoni –, e questo ci consente di rivelarne aspetti nuovi. Crediamo che per risolvere malattie così complesse sia necessaria un’integrazione sempre maggiore tra analisi dei segnali e neurofisiologia clinica”.

Il prossimo passo, spiega Mazzoni, sarà sfruttare queste informazioni per rendere ancora più efficaci le terapie di stimolazione cerebrale profonda (DBS), che possono ridurre molti dei sintomi della malattia di Parkinson: “Abbiamo anche l’obiettivo piuttosto concreto di inserire direttamente l’algoritmo negli impianti già utilizzati dai pazienti. Questo permetterà di aprire una nuova fase nella cura al Parkinson, passando a un metodo capace di adattarsi alle esigenze dei pazienti”.

Lo studio è stato eseguito all’Ospedale Universitario di Würzburg, nel laboratorio del professor Isaias, il quale dichiara: “Comprendere le basi patofisiologiche della malattia di Parkinson rimane un obiettivo principale per definire nuove terapie. Questi risultati ci aiuteranno a identificare nuovi paradigmi di neuromodulazione, come la stimolazione cerebrale profonda di tipo adattativo, ovvero capace di adattare l’erogazione di stimolazione alle esigenze cliniche e alle attività quotidiane del paziente”.

“L’utilizzo dell’analisi dei segnali apre nuovi scenari in cui le informazioni estratte dal cervello potranno essere utilizzate per rendere più efficace il trattamento di neurostimolazione”, aggiunge Matteo Vissani, neo-dottorato della Scuola Superiore Sant’Anna.

Redazione Nurse Times

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