Nel primo caso è stata chiesta l’archiviazione. Nel secondo il rinvio a giudizio per cinque persone.
Tante, troppe morti nelle case di riposo durante questo anno e mezzo di pandemia da coronavirus. E non è affatto facile stabilirne le responsabilità, come confermano le richieste giudiziali agli antipodi riguardanti il caso di una struttura lombarda, che ha visto 77 decessi in pochi mesi, e quello di una piemontese, dove i decessi sono stati 49.
La Procura di Lodi ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta che stava indagando sulle morti avvenute nella primavera del 2020 alla casa di riposo Borromea di Mediglia (Milano). L’indagine era partita da un esposto di 33 famigliari delle vittime, ma dalle prove raccolte non sono risultate gravi negligenze da parte della struttura e dei suoi operatori. Il procuratore Domenico Chiaro ha ammesso che a Mediglia mancavano alcuni presupposti operativi, ma ha aggiunto che, sotto il profilo del reato colposo, queste non sono sufficiente a stabilire un nesso causale tra la condotta degli operatori e i 77 decessi. Tanto più che all’inizio dell’epidemia era difficile trovare dispositivi di protezione individuale.
Destino diverso per cinque degli indagati per le 49 morti avvenute nella casa di riposo di Vercelli. Nel loro caso loro la locale Procura ha infatti chiesto il rinvio a giudizio. I reati contestati sono omicidio colposo e omissione di atti d’ufficio. Le persone interessate sono il direttore generale, il direttore sanitario all’epoca dei fatti, la responsabile delle oss, l’allora direttore generale dell’Asl Vercelli e un medico. Sono invece cadute le accuse di epidemia dolosa, come del resto sta accadendo anche il altri casi in Italia, avendo la Cassazione stabilito che si può parlare di questo reato solo se si compiono atti che comportano la trasmissione del contagio, ma non le eventuali omissioni di atti volti a evitarlo.
Fra gli addebiti emersi dalle indagini figurano il mancato isolamento degli ospiti, il ritardo con cui fu vietato l’ingresso ai parenti e la svolgimento di momenti di socializzazione. Inoltre non sarebbero state effettuate sanificazioni prima del 25 marzo, quando già l’emergenza Covid era esplosa. Sono cinque i casi specifici di anziani ospiti morti nei loro letti dopo che non era stato possibile ricoverarli in terapia intensiva all’ospedale cittadino e senza cercare altre strutture dove trasferirli.
Redazione Nurse Times
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