Rilanciamo un approfondimento sul tema a cura di Pazienti.it.
I test di screening prenatale sono effettuati per controllare lo sviluppo del feto durante una gravidanza ed escludere possibili malattie genetiche, difetti cardiaci o altre patologie dello sviluppo. Si tratta di alcuni esami non invasivi e di due esami invasivi, eseguiti tra il primo e il secondo trimestre. Un test di screening è in grado di fornire informazioni sulla predisposizione a sviluppare una patologia, mentre solo un successivo test diagnostico può dare risposte attendibili sull’effettiva presenza del disturbo.
Ecco i principali test di screening:
- Ecografia a ultrasuoni: con l’utilizzo di onde sonore si crea un’immagine del feto all’interno dell’utero. Questo test determina la dimensione e la posizione del feto e rileva eventuali anomalie nella struttura di crescita delle ossa e degli organi.
- Translucenza nucale: è un’ecografia speciale, eseguita tra le 11-14 settimane di gravidanza. Controlla l’accumulo di liquido nella regione della nuca del feto; la presenza di meno fluido rispetto al normale indica un rischio maggiore che si sia in presenza di patologie, come la sindrome di Down.
- Esami del sangue: misurano i livelli di alcune sostanze presenti nel sangue; i livelli anormali indicano un rischio più elevato di anomalie cromosomiche. L’esame del sangue è utilizzato anche per determinare il gruppo sanguigno e il fattore Rh di madre e bambino, così da valutarne la compatibilità.
- Prelievo dei villi coriali: la villocentesi è un test di screening invasivo che consiste nel prelievo di un piccolo frammento di tessuto dalla placenta. È utile per verificare anomalie genetiche (come la sindrome di Down) e altri difetti congeniti. Il prelievo può essere effettuato dal ventre (test transaddominale) o per via vaginale (test transcervicale). Questo esame può comportare alcuni effetti collaterali: crampi, spotting, minimo rischio di aborto spontaneo.
- Screening del glucosio: è un test che verifica la probabilità di andare incontro a diabete gestazionale. I neonati di madri che hanno sofferto di diabete gestazionale sono più grandi alla nascita rispetto ad altri neonati (questo può rendere il parto più difficoltoso) e la presenza di diabete gestazionale spesso si associa a elevazioni della pressione sanguigna che possono creare problemi nelle fasi avanzate della gravidanza. L’esame consiste in un prelievo di sangue dopo che la madre ha bevuto una soluzione zuccherina. Se il test risulta positivo, il bambino ha un rischio maggiore di sviluppare il diabete entro i successivi 10 anni ed è perciò consigliabile ripetere il controllo anche dopo la gravidanza.
- Amniocentesi: è un esame invasivo che consiste nella rimozione di parte del liquido amniotico che circonda il feto durante la gravidanza, così da controllare, mediante l’analisi delle cellule fetali, la correttezza del patrimonio genetico del feto, e verificare nel contempo alcune funzioni metaboliche tramite l’analisi delle sostanze chimiche prodotte dall’organismo del futuro neonato. L’amniocentesi è importante per valutare eventuali anomalie genetiche (sindrome di Down, spina bifida) e può essere presa in considerazione se si verifica una delle seguenti condizioni: precedenti test di screening prenatale con risultati anomali, anomalie cromosomiche in una precedente gravidanza, madri sopra i 35 anni, storia familiare di malattie genetiche. L’amniocentesi è utile anche per verificare che i polmoni del feto siano pronti per la nascita.
- Screening batterici: test condotti per valutare la presenza di batteri portatori di gravi infezioni per la madre e il neonato.
- Test di diagnosi prenatale: questi esami sono eseguiti solo se un test di screening ha prodotto un risultato positivo.
Tra gli esami elencati sopra, solo i test invasivi, che permettono un accesso diretto alle cellule del neonato, possono essere considerati diagnostici. Essendo invasivi, però, essi comportano un piccolo rischio di aborto spontaneo.
Cos’è l’amniocentesi? – Il prelievo di liquido amniotico è praticato da oltre 100 anni, anche se molti casi non sono stati mai registrati. Esami di amniocentesi transaddominale nel terzo trimestre furono eseguiti già nel 1870. Il primo test registrato con prelievo di liquido amniotico per diagnosticare una malattia genetica fu eseguito nel 1956 e si arrivò a determinare il sesso del feto, utilizzando le cellule presenti nel liquido. Sempre in quegli anni, in Inghilterra si discuteva per la prima volta la possibilità di un “rilevamento prenatale delle malattie ereditarie”.
Dal 1960, la determinazione del sesso fetale ha portato anche alle diagnosi prenatali in casi di emofilia A, distrofia muscolare, disturbi metabolici, difetti del tubo neurale e trisomia 21 (per quest’ultima utilizzando anche cellule in coltura per un’analisi completa dei cromosomi). Nel 1970, l’articolo “Ruolo dell’amniocentesi nella diagnosi intrauterine di difetti genetici” (apparso sul New England Journal of Medicine) ha dato l’impulso definitivo per l’amniocentesi genetica e la diagnosi prenatale, consentendo lo sviluppo di laboratori di genetica per l’analisi di liquido amniotico.
L‘amniocentesi veniva in origine effettuata con l’ausilio di uno scanner in tempo reale. Con il rapido miglioramento della tecnologia e grazie all’utilizzo degli ultrasuoni, l’esame è diventato sempre più preciso e meno invasivo.
Fetoscopia e prelievo di sangue fetale – I primi tentativi di fetoscopia sono stati effettuati nel 1954 attraverso il ricorso a un ago del diametro di 10 millimetri, introdotto nella cervice uterina delle madri per ottenere campioni di pelle fetale. Qualche anno più tardi l’esame fu preceduto da un’ecografia preliminare e si effettuò il prelievo di sangue fetale con una cannula speciale che permetteva una visione diretta dell’operazione.
Questa procedura fu utilizzata per la diagnosi di alcune importanti patologie: la talassemia, l’anemia falciforme e la spina bifida, senza rischi per la madre o per il feto. Dal 1980 circa, la fetoscopia è stata riservata al campionamento di tessuti ed organi, mentre il prelievo di sangue fetale è stato eseguito con l’utilizzo di un ago ad ultrasuoni.
Prelievo dei villi coriali – Nel 1968, fu introdotto in Scandinavia il concetto di diagnosi genetica prenatale utilizzando campioni di villi coriali prelevati tramite una biopsia trans-cervicale, sotto visione diretta endoscopica. L’esame, tuttavia, provocava spesso casi di sanguinamento e infezioni e fu così abbandonato. Apparentemente il primo successo in materia di diagnosi prenatale tramite prelievo dei villi coriali avvenne in Cina nel 1975, dove i medici riuscirono a stabilire il sesso del feto.
Con l’avvento della tecnologia a ultrasuoni e i progressi della genetica molecolare, si pensò di riproporre la diagnosi prenatale utilizzando un approccio endoscopico ed ecografico. Nel 1983, un gruppo di ricercatori a Milano dimostrò che, grazie all’ausilio degli ultrasuoni, con una biopsia diretta nella placenta il successo nell’ottenere materiale genetico dai villi coriali toccava il 96%. Fu così introdotto il prelievo transaddominale con aghi sottili sotto la guida ecografica. Registrate sempre meno infezioni e aborti spontanei, grazie anche ai progressi della tecnologia, la procedura del prelievo dei villi coriali è diventato sempre più un esame di routine.
Test prenatali non invasivi del Dna – I test prenatali disponibili fino a molto recentemente (amniocentesi e prelievo dei villi coriali) sono invasivi e possono comportare piccoli rischi di aborto spontaneo. Questi esami sono pertanto consigliati solo per quelle donne con un alto rischio di anomalie fetali cromosomiche o genetiche. In realtà alcune cellule del feto spesso si ritrovano anche nel sangue materno, ma pensare di analizzarle specificamente riconoscendole da quelle materne era impensabile fino a pochi anni fa.
Oggi, grazie ai progressi tecnologici, un laboratorio specialistico è in grado di confrontare il profilo di Dna fetale, ricavato dalla piccola proporzione di cellule fetali presenti nel sangue materno, con il Dna della madre e del padre, analizzando sistematicamente i profili di Dna. Questo tipo di test può essere definito un “test di paternità prenatale”, in quanto si basa sul confronto dei profili genetici delle cellule fetali, del sangue materno e di quello paterno.
Questo esame comporta alcuni notevoli vantaggi:
- è un test di screening non invasivo, richiedendo un semplice prelievo di sangue;
- è un test di screening che perciò non presenta rischi per la madre o per il feto;
- è un test che fornisce risultati sicuri e in poco tempo;
- è un test relativamente poco costoso.
Il test permette non solo di verificare la correttezza del corredo cromosomico (assenza di trisomie, come la malattia di Down), ma anche la ricerca mirata di mutazioni genetiche associate a malattie congenite (come la talassemia, la fibrosi cistica, e altre patologie genetiche) quando vi sia il ragionevole dubbio di una possibile presenza della malattia sulla base della storia familiare. Questo esame può essere eseguito dalla 14esima settimana di gestazione ed è attendibile quasi al 90%. I risultati, in genere, possono essere già disponibili dopo appena dieci giorni dal prelievo.
Redazione Nurse Times
Fonte: Pazienti.it
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